(R) Capitolo 18: Una triste eredità

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Rose si era addormentata con l'ultima lettera di sua sorella stretta nella mano destra. La disputa che aveva avuto con Wulfric due giorni prima l'aveva avvilita e, come se non fosse stato abbastanza, Ann le aveva riferito che Alan non era migliorato. Sembrava che tutta la fatica che avevano fatto per realizzare quell'incantesimo non fosse servita a niente, o quasi. Certo, finalmente Alan riusciva di nuovo a dormire ed era più tranquillo e apprezzava molto la compagnia delle Silfidi che erano arrivate nella sua stanza, attirate dalle erbe magiche, ma viveva ancora nel suo mondo. Era come se si trovasse in una bolla di diamante, nella quale era impossibile entrare.

Rose voleva solo riavere il padre che aveva perso quando era solo una ragazzina.

Era tutto così ingiusto.

E Wulfric, quell'idiota di Wulfric, le diceva che la vita che lei stava lottando per dare a suo padre era insignificante.

Rose si agitò nel letto e rifilò un pugno al cuscino per sfogarsi. Restò in silenzio a osservare Wulfric: la sagoma del ragazzo era avvolta dalle coperte, e le sue spalle si alzavano ritmicamente.

Quanto doveva essere facile per lui. A Wulfric non importava nulla della sua famiglia. I genitori di Wulfric erano una donna alta e sottile di nome Claire, di professione avvocato, e un uomo imponente quanto Wulfric, Richard, che era un imprenditore di successo. Erano molto ricchi e non avevano mai fatto mancare niente al loro bambino, ricoprendolo di regali e soldi sin da quando era piccolo. Tuttavia, nonostante fosse cresciuto in quell'ambiente, Wulfric non era viziato. Era sempre stato molto comprensivo e sensibile verso i problemi di Rose, mentre ora le voltava le spalle senza motivo. Rose non sapeva cosa fosse cambiato fra loro, ma da quando erano arrivati ad Avalon era come se fosse sempre sulla difensiva.

La ragazza ripiegò la lettera di Ann e stirò la schiena, dalla quale provennero dei sonori scricchiolii. Dormire su quei materassi imbottiti di pagliericcio non era un granché per le sue povere vertebre. Si infilò la pesante vestaglia da notte in lana cotta fornitagli da Geodfrith e ne accarezzò l'orlo. Il vecchio Mundbora prestava una cura particolare alle cose più semplici, eppure così importanti.

Rose scavalcò Wulfric e anche Urchin, rannicchiato su un cuscino sotto forma di riccio. Il folletto russava con dei lievi fischi, e Rose preferì non svegliarlo. Aveva bisogno di restare da sola. Uscì dall'antro di Myr, e il vento le tirò indietro i capelli, sussurrando parole incomprensibili. Dovevano esserci le ninfe dell'aria in giro quella notte.

La ragazza inspirò a fondo l'odore del buio e scese lungo la collina sulla quale si inerpicava la quercia di Myr. Raggiunse il lago, una superficie imperturbabile sulla quale la luna si rovesciava, cadendo in un altro cielo.

Rose strinse i denti quando i suoi piedi nudi lambirono l'acqua gelida e si sedette su una roccia. Sollevò lo sguardo e lasciò che si perdesse nello strato di nebbia lucente che fluttuava sulla superficie dell'acqua.

C'era un silenzio assoluto, neanche gli animali notturni emettevano i loro richiami; era un silenzio che Rose non aveva mai sentito prima d'ora: riusciva a percepire persino i battiti del proprio cuore.

La ragazza si strinse nella vestaglia e si scostò i capelli dal volto. Continuavano a scivolarle sul viso perché Myr era stato costretto a tagliarglieli, visto che buona parte di essi erano stati bruciati dal lampo magico.

Era incredibile che la magia provenisse dalle "bibite delle fate", come Rose le chiamava. Non aveva mai fatto caso a quanta Acqua Salina bevessero quelle creature finché Myr non gliene aveva parlato: se ne andavano in giro con un bicchiere e una cannuccia di legno assicurata alla cintura e quando ne avevano bisogno prendevano dell'acqua da un fiume o, con la loro logica, ci si tuffavano e poi bevevano.

Mundbora - L'ombra degli antichiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora