Capitolo 1: Metereopatica

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Lei


Non sto facendo altro che girare in tondo per tutta la camera, è da circa cinque minuti che cerco quel dannato aggeggio chiamato "cellulare"- lo so che è assurdo, ma non posso uscire senza- e non riesco proprio a trovarlo. Ho cercato sotto il letto, sotto il cuscino e la coperta, ma niente. E' proprio scomparso!

Incredibile.

Cerco di sistemare, almeno un po', il caos che mi circonda. Afferro il libro con l'intenzione di metterlo nella mia libreria strapiena e disordinata, ma un rumore tonfo mi distrae, guardo giù e... eccolo il signorino. Prendo il cellulare che sta sdraiato comodo a terra e per i fatti suoi che sembra dirmi "beh? Non mi vuoi più adesso?"

< Piccolo stronzo. > Borbotto tra me, mentre lo infilo nella tasca posteriore dei miei jeans. Afferro la mia borsa e mi affretto a salutare.

< Sto uscendo, ci vediamo dopo. > Apro e chiudo la porta sentendo un "Stai attenta e non fare tardi." Sorrido sarcastica. "Stare attenta in un posto del genere?" nemmeno se volessi potrei mettere nei guai qui.

Che merda di paese. Cos'ha da offrire?

Tutta la "vita" della cittadina si svolge in una sola e singola via, quella principale, e, se proprio voglio essere ottimista, posso reputarmi fortunata dato che è li che abito io. Rimugino come al mio solito mentre cammino impetuosa verso la mia direzione, il fotografo, che come quasi tutto è a pochi passi da casa mia.

Mi affretto ad entrare dato che una leggera pioggia ha iniziato a scendere e, di nuovo, il mio umore diventa più grigio. Non so per quale motivo ma il mio stato d'animo è collegato anche al tempo , se piove mi incacchio di più e se c'è il sole posso reputarmi una persona, relativamente, tranquilla.

Sono in silenzio e ferma davanti al bancone aspettando che qualcuno mi chieda, con gentilezza, che cosa mi serve e mi perdo a guardare le foto che ci sono li in giro.

Ignorando il solito figo," devo proprio ammetterlo," appeso al muro che -nonostante tutte le volte che sono entrata qui dentro non ho mai capito chi è – osservo con attenzione tutte le altre foto.

Sono fotografie del tutto diverse rispetto a quelle che potresti trovare in qualsiasi altro studio: una madre, seduta sotto un portico, osserva il figlio salire sullo scuolabus con quegli occhi pieni di una tenerezza sconfinata. Sposto lo sguardo sul bambino dai capelli neri a cui ormai, dopo tanti anni, ho dato un nome: Will. Sta sfidando la resistenza della sua canna da pesca perché deve riuscire a portare quel pesce a casa e fare in modo che sia una bella giornata.

E poi, per ultima, mi dedico alla mia preferita: c'è un aereo porto, c'è la gente, il caos e nessuno sembra far caso a quelle piccole impronte sulla grande vetrata. Chissà a chi appartengono quelle mani. Intanto l'aereo è già andato via, lasciando solo la sua scia bianca nel cielo.

Sono momenti della vita di tutti i giorni, ma questi scatti li rendono speciali.

Con un battito di ciglia torno alla realtà e, dall'altra parte della sala, sento qualcuno parlottare al telefono in un tono di voce davvero... zuccheroso.

< Ma no... > sbotta la voce maschile che, pur sforzandomi, non riesco a riconoscere.

< Lo sai che non è così Hilary... ma no! Senti, sai cosa? Stasera passo a prenderti e ti dimostrerò che ti sbagli nel mio modo speciale... >

"Oddio. Sono disgustata."

La voce inizia a farsi più nitida e riesco a sentire alcuni passi avvicinarsi, ma ancora non si vede nessuno. Soltanto quella risata invisibile che mi sta irritando a morte.

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