Non guardarmi soltanto quando sogno.
Quando sorrido.
Quando apro finestre nel cielo e guardo cosa c'è oltre.
Guardami mentre inciampo e cado.
Quando combatto e sbaglio.
Guardami quando ho paura.
Quando il buio sta per arrivare.
Allora sì, potrai dire chi sono.(Fabrizio Caramagna)
Ero stanco, aver rivisto quella ragazza aveva riaperto ferite, che credevo ormai in via di guarigione: il ricordo di mio fratello e Sam insieme; l'inganno che stavano, anzi stavamo, perpetrando alle spalle di mio padre; la sua gravidanza; l'aborto; la morte di Chris; il mio costante senso di colpa nei confronti di mia figlia, per averla privata dell'amore di sua madre.
Non è colpa tua, Dave, mi ripetei fino allo sfinimento, ma il mantra non sembrò sortire l'effetto sperato.
Mi alzai, dirigendomi verso il tavolino dei liquori, e mi versai una generosa dose di bourbon; avevo bisogno di rilassarmi. La mia mano tentennò un istante, prima di portare il bicchiere alle labbra, non avrei dovuto bere, lo sapevo.
Un primo sorso, seguito da un secondo, e il familiare calore che precedeva la pace, dilagò nelle mie viscere. Solo allora, mi concessi di guardarla.Non era agghindata per l'occasione: un semplice paio di jeans, coperti da una maglia di almeno una taglia in più. La sua voce tremava, mentre tentava di ringraziarmi; probabilmente, i ricordi del passato tormentavano anche lei. La fermai con un gesto: non desideravo essere ringraziato, non volevo che ricordasse e non mi andava di pensare a quel passato dal quale avevo, invano, tentato di allontanarmi; speravo che il mio piccolo gesto la proteggesse dai ricordi e dal dolore, ma ero quasi certo che ciò non sarebbe mai accaduto. I ricordi sarebbero rimasti lì, come indelebili cicatrici.
"Spero solo che quegli animali stiano ancora marcendo in galera, " dissi.
Sapevo che era così, con l'influenza politica ed economica della mia famiglia, avevo fatto in modo che i bastardi fossero puniti come meritavano. In fondo, avevo fatto pochissimo. Era tempo di cambiare argomento, di passare oltre.
"Accomodati, sei qui per un colloquio... " dissi, assumendo la mia espressione professionale da avvocato newyorkese.
Lei, eseguì diligentemente.
"Hai delle referenze?" Le chiesi. Le referenze sono fondamentali, così mi aveva detto Josephine. Per un attimo, vidi il suo sguardo perdersi nel vuoto e le sue guance tingersi di un rosa acceso.
"I-io..." balbettò "No, non ho referenze particolari, ho sempre badato ai figli dei vicini... sono brava con i bambini, ma non ho fatto nessuno studio specifico." Rispose, con la voce colma d'imbarazzo, abbassando i suoi begli occhi verde prato.
Mi accigliai, non sapevo se affidarmi all'istinto, che mi diceva che lei aveva ragione, oppure alla logica, che mi suggeriva di non lasciare la mia bimba a una sconosciuta, senza alcuna esperienza qualificata.
Optai per la seconda scelta. L'istinto mi aveva portato solo guai e... Lizzie.
Sorrisi per un istante, ero ufficialmente innamorato di mia figlia; anche se, non ero certo che lei ricambiasse. A volte, quando piangeva disperata, sembrava che nulla riuscisse a calmarla: io non le bastavo; lei aveva bisogno di una figura femminile; aveva bisogno di Christina. Scossi la testa e tornai a posare lo sguardo su di lei. Evitava di guardarmi in volto e si torceva le mani strette in grembo. Mi fece molta tenerezza, ma io non ero facile ai sentimentalismi: questo era un colloquio di lavoro, e anche se mi dispiaceva per ciò che le era accaduto in passato, ora si parlava di mia figlia.
"Senti, Tea..." feci per liquidarla, ma il pianto della mia bambina distolse la mia attenzione da lei e da quanto stavo per dirle. Mi alzai di scatto, tutta la pace artificiale, dissolta con un semplice vagito. Andavo sempre un po' nel panico quando Lizzie piangeva. Quando l'avevo portata a casa, dopo quasi due mesi di ospedale, era Jo a occuparsi di lei, a cambiarla, a darle da mangiare. Io la coccolavo... di tanto in tanto. Avevo paura di toccarla, avevo il terrore di farle del male, ero molto bravo a fare del male alle persone. La verità, era che io non sapevo fare il padre, non avevo programmato di esserlo, non avevo mai pensato di diventarlo, non volevo esserlo. Eppure, il sorriso di mia figlia, ora illuminava la mia vita di una luce splendente e il suo pianto, beh, mandava in crisi il mio fragile equilibrio emotivo e fisico, proprio come stava accadendo ora.
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Solo un uomo (un uomo solo)
Romance#56 in #storiedamore il 21-4-2018 «Due strade divergevano in un bosco, ed io io presi quella meno battuta, E questo ha fatto tutta la differenza.» R. Frost Questo è David, un uomo logorato da un passato ingombrante , un privilegiato, un potente, u...