50 - leccarsi le ferite

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La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime, o il mare.
(Karen Blixen)


"Questo è un luogo speciale per me" dissi, una volta rimasti soli. "Qui, ho vissuto tra i giorni più belli e intensi della mia vita." Continuai, perso nei ricordi di un passato ormai lontano.

Ricordai mia madre, seduta su quel plaid a quadri, il cestino da picnic pieno di golosità; ricordai mio padre, ridere come non aveva più fatto da quando mia madre era morta; ricordai Jamie, sgambettare sul bagnasciuga, con solo un pannolino a proteggerlo dai raggi del sole.

"Da bambino, venivamo qui tutti i fine settimana. I miei genitori erano innamorati di questo luogo e di questa." Dissi, indicando l'altalena su cui Tea era ancora seduta. "Ricordo mia madre, dondolarsi come una bambina, ridendo, e costringendo mio padre a spingerla sempre più in alto, fino a toccare il cielo." Gli occhi di Tea, fissi nei miei, grigio e azzurro a fondersi assieme, come cielo nuvoloso e terso, tinto delle calde tonalità aranciate del sole calante.

"Su questa spiaggia, ho dato il mio primo bacio a un ragazzo." La voce di Tea a cogliermi di sorpresa, una strana gelosia a farsi largo nel mio cuore. "Avevo tredici anni. Era un mio compagno di campeggio, aveva le lentiggini e l'apparecchio ai denti, ma per me, allora, era bellissimo!" Ok, forse non era il caso di essere geloso di un preadolescente, mi rimproverai mentalmente.

"L'hai più rivisto?" Chiesi. Volevo che parlasse con me, per colmare quei silenzi imbarazzanti, le mute richieste di spiegazioni che non riuscivo a dare. Non sapevo cosa dirle, ma avevo un bisogno quasi fisico di sentire la sia voce, le sue parole, i suoi sospiri. Dunque. Parlami, Tea, aiutami a conoscerti.

"L'ho rivisto alcuni anni dopo, " continuò, dopo una breve pausa in cui si limitò a fissare il mare. Sembrava che il ricordo la rendesse nostalgica, forse triste; non avrei saputo dirlo con esattezza. "Non portava più l'apparecchio, ma aveva messo dei piercing sul sopracciglio e una sigaretta tra le labbra. Ho provato ad avvicinarlo per poterlo salutare e per scambiare due chiacchiere, ma lui non si ricordava nemmeno chi fossi." Il suo sguardo a farsi triste, rifuggendo il mio. "Capisci? Lui è stato il mio primo amore e invece..." Le sue guance a colorarsi d'imbarazzo."Ogni volta che torno qui, ripenso alla ragazzina piena di sogni che ero; una ragazzina scomparsa quel trenta dicembre, assieme a tutte le sue illusioni." Distolse lo sguardo dal mio, poi scese dall'altalena, affondando i piedi nudi nella sabbia ancora tiepida. Restai in silenzio, guardandola camminare verso la battigia fino a immergersi nella tiepida, limpida, acqua della baia. Restò li, a farsi lambire le caviglie da quelle piccole onde, per un tempo che mi sembrò infinito. Era triste, lo sentivo; aveva bisogno di me, lo sapevo.

Mi alzai dal tronco su cui ero seduto e la raggiunsi. Titubai un istante, incerto sul da farsi, Lei era fragile come un cristallo in questo momento, sarebbe bastato davvero poco per ridurla in mille pezzi. Feci un grosso respiro, poi senza porre altri indugi, la abbracciai.

Avevo seguito l'istinto e quello che mi suggeriva. La ragione non doveva prendere il sopravvento, o mi avrebbe bloccato. Ora dovevo solo lasciar uscire la parte migliore di me: quella sincera; quella tenera; quel lato sensibile che soltanto in pochi avevano visto.

"Io non mi sono dimenticato di te, Tea." Sussurrai al suo orecchio. "Non mi sono mai dimenticato di te."

La sentii sussultare, sorpresa dal mio abbraccio, poi rilassare le membra, e infine appoggiarsi al mio petto, in cerca di un sostegno. Vidi le sue guance luccicare di lacrime e la sua mano sfiorare la mia, in una lenta carezza.

Le mie labbra le baciarono la tempia sinistra, annusando l'odore salmastro dei suoi capelli, lei inclinò la testa, permettendomi di raggiungere il lobo del suo orecchio e poi, lentamente, la clavicola lasciata scoperta dal suo vestito estivo. Non volevo ammettere, che nel momento stesso in cui l'avevo rivista, le cose erano tornate al proprio posto, avevo paura di farlo, temevo che se mi fossi affezionato troppo a lei, se avessi provato qualcosa di più, sarei in qualche modo riuscito a rovinare tutto.

Eppure...

Eppure, non riuscivo a evitare di avvicinarla, di parlarle, di toccarla, di ...baciarla.

Le mie labbra furono sulle sue, salate di lacrime, in un bacio lento, tenero, dolce, consolatorio.

Lei era pace, dolcezza, serenità. Casa.

Non desideravo altro che sentirla stretta a me, scaldarmi al battito del suo cuore, proteggerla dalle sue paure.

"Non mi sono dimenticato di te" sussurrai sulla sua bocca. "Come avrei potuto."

"Perché sei scomparso?" I suoi occhi chiari a fissarsi nei miei, nessuna accusa nello sguardo, solo desiderio di conoscenza e apprensione, forse.

Una domanda legittima la sua, alla quale , però, non ero certo di saper dare una risposta precisa. "Dio, avevamo appena fatto l'amore e tu..." poi improvvisamente si zittì, come se si fosse resa conto di ciò che aveva appena detto.

"Dave, io..." i suoi occhi a farsi lucidi, non di pianto, ma di desiderio, di sogni, di speranze.

Non volevo distruggerli, non volevo illuderla, non volevo soffrisse per chi, come me, ha una fottuta paura di amare.

"Non dire nulla ora," sussurrai, "godiamoci il tramonto e questa pace dolce. Restiamo abbracciati sotto le stelle; parliamo tutta la notte, se vuoi; oppure sentiamoci, pelle contro pelle; lecchiamoci le ferite; curiamoci." La guardai. "Sii la mia cura, Tea, ed io sarò la tua, se potrò".

Mi strinse a sé, lasciando che le mie braccia la circondassero, poi prendendoci per mano, ci stendemmo a terra, permettendo alle onde di lambire i nostri corpi e lasciando che le stelle facessero da coperta al nostro bisogno di sentirci uniti e vicini.


La cura _ Franco Battiato

Solo un uomo (un uomo solo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora