27 - Gli occhi di mio padre

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Come sono arrivato qui? Che cosa ho fatto?
quando arriveranno tutte le mie speranze?

come lo riconoscerò?

Quando guarderò negli occhi di mio padre?

La mia casa non era molto cambiata negli ultimi quattro anni: lo stesso giardino ben curato, lo stesso lastricato lucido e pulito, lo stesso portico ombroso. Eppure qualcosa di diverso c'era: non sapevo ben definire di cosa si trattasse; forse qualcosa nell'atmosfera; forse qualche altro dettaglio, insignificante a un primo sguardo, ma fondamentale nella vista d'insieme; o più semplicemente, ero solo io a essere cambiato e a guardare la realtà con occhi diversi.
Inserii la chiave nella toppa, Samantha aveva avuto almeno il buon gusto di non far cambiare le serrature; abbassai la maniglia e mi presi un istante per abituarmi nuovamente alla maestosità di casa mia.
Tutto era rimasto uguale, eppure tutto era diverso: l'atmosfera era cambiata, il calore che avvertivo quando mia madre era viva, era scomparso. La casa della mia infanzia mi era divenuta fredda ed estranea, proprio come i suoi abitanti. Avvertii un forte bruciore alla bocca dello stomaco insieme con un profondo senso d'inadeguatezza: questa non era più la casa dei miei ricordi; questa non era più casa mia. Sam era riuscita nel suo intento: aveva ottenuto la sua vendetta su di me; ce l'aveva fatta a farmi tagliare fuori dalla vita della mia famiglia, a farmi sentire un visitatore indesiderato, un estraneo nella mia stessa casa.
No, non era solo sua la colpa, non potevo attribuirle tutto questo potere: ero io, io soltanto a essere la causa di tutti i miei mali.

Purtroppo.

Mi guardai ancora una volta attorno, quasi smarrito, in quella casa diventata troppo grande e alla quale non ero più abituato.

Per un istante immaginai Lizzie bambina, correre nel salone e riempirlo della sua risata contagiosa; chissà cosa avrebbe pensato mio padre, sicuramente mi avrebbe biasimato per avergli tenuto nascosta la mia paternità, ma più certamente sarebbe andato su tutte le furie per essersi perso i primi mesi di vita di sua nipote.
Non avrebbe capito la mia scelta, e a dirla tutta, nemmeno io l'avevo capita fino il fondo.

Non ero lucido: se lo fossi stato, o se la situazione fosse stata diversa, non avrei mai nascosto un simile e lieto evento alla mia famiglia. La realtà era che avevo dovuto affrontare tanto dolore negli ultimi mesi, e avevo dovuto farlo da solo. Ora non ero ancora pronto a  condividere l'unica cosa bella che ne era derivata. Non volevo che la mia famiglia mi compatisse o peggio, mi biasimasse per ciò che avevo fatto a Chris; non volevo che elargissero consigli non richiesti; non sarei riuscito a sopportarlo; soprattutto quando nessuno di loro si era degnato di farmi una telefonata per sapere come me la passavo.

"David, sei qui, finalmente!" La voce di mio padre, a sorprendermi alle spalle, a distogliermi dalle mie amare riflessioni.

Temporeggiai un istante, prima di voltarmi verso di lui. Non lo vedevo da tre anni e quasi non ricordavo più il suo volto; stentavo a credere che lui ricordasse il mio. Era un po' invecchiato, notai, ma non molto: il portamento sempre fiero, lo sguardo attento e rapace, il corpo ancora snello, seppur leggermente appesantito dal tempo. Mi sorpresero i suoi occhi, erano raggianti di gioia.

Per il mio ritorno?  Stentavo a crederlo. Avrebbe potuto cercarmi, se l'avesse davvero voluto. Pensai con amarezza.
"Papà" dissi, rivolgendogli un sorriso scarno, che ne ero certo, non mi aveva illuminato lo sguardo. "Ti trovo bene".
Joshua mi sorprese con un abbraccio che per un istante, m'indusse ad abbandonare tutte le mie difese e a ricambiare la stretta.

Mi era mancato, pensai, per quanto mi costasse ammetterlo, la mia famiglia mi era mancata, tremendamente.
"Allora, dov'è lei? Dov'è la ragazza che ti ha fatto perdere la testa?" Chiese. Il sorriso e la curiosità, ancora a illuminargli gli occhi.

Se solo avesse saputo la verità, quel sorriso si sarebbe sicuramente trasformato in un ghigno rabbioso.
"Non è con me!" risposi, cercando di apparire il più disinvolto possibile. "Volevo incontrarvi da soli prima di farvela conoscere. Inoltre, Jamie mi ha proposto una rimpatriata tra fratelli... " ammiccai, lasciando la frase in sospeso nella speranza che avrebbe capito. Mi allontanai di qualche passo incrociando le braccia al petto per mettere di nuovo la giusta distanza tra di noi.
"... E il tuo lavoro? Ho saputo che hai vinto una causa importante, volevo congratularmi personalmente..." Il riferimento al mio tanto vituperato lavoro, mi sorprese: c'era qualcosa sotto, lo sentivo.
"E' stato soprattutto merito di Richard, l'avvocato Stanton..." mi schernii.
"Ho sentito parlare di lui, è molto bravo..." rispose, ma gli occhi brillavano di orgoglio, per me.
Mi sembrava tutto così strano e irreale. Io, David Lewis, il figlio ribelle, colui che non aveva mai voluto seguire una rotta già tracciata, ero guardato finalmente con orgoglio da mio padre.

Se solo avesse saputo la verità, e l'avrebbe saputa, più presto di quanto avessi voluto.
"David..." La voce di Samantha mi fece sussultare, riportandomi improvvisamente con i piedi per terra a saggiare la durezza della realtà.
"... e così, il figliol prodigo è finalmente tornato a casa." La sua voce era amara, velata da un sarcasmo simile al mio.
"Allora dovremmo sacrificare il vitello grasso..." risposi, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Sam si avvicinò a me, lo sentivo dal frusciare dei suoi abiti, ma continuai ostinatamente a ignorarla, almeno finché non mise la sua mano sulla mia spalla.
"Tuo padre ha sofferto molto la tua assenza..." e allora perché non mi ha cercato? "Ora sarà felice, finalmente!" Lo stesso irritante tono, che però colpì dritto nel segno.
Mio padre si voltò verso sua moglie ammonendola con lo sguardo.
"Sam, finiscila..." disse con un tono troppo calmo, per non sembrare minaccioso. Finalmente incontrai i suoi occhi: anche lei sembrava cambiata e non soltanto perché il tempo stava segnando leggermente il suo volto; c'era qualcosa di diverso, una sorta di malinconia che aveva spento la luce e la vivacità dal suo sguardo.

Così impari a sposarti un anziano e a scoparti il figlio, anzi... i figli. Non meriti di essere felice! Pensai malevolo. Quella donna non mi piaceva per niente, distruggeva tutto ciò che toccava (in questo eravamo molto simili), sarebbe riuscita presto a distruggere Jamie e lo splendido rapporto che aveva con mio padre.
"Scusatemi, vi lascio soli!" disse remissiva, un atteggiamento che non le si addiceva, ma che sapeva recitare alla perfezione.

"Qualcosa non va in paradiso?" Risposi alzando un sopracciglio: Joshua sapeva cosa pensavo del loro matrimonio.
"Da quando ha perso il bambino, non è più la stessa..." Già, il bambino. Dimenticavo che fosse rimasta incinta. Almeno questo aveva detto ai miei parenti, Se solo fosse stato vero...  Sì, se fosse stato vero, questo cambiava un po' le carte in tavola. A nessuno, nemmeno al mio più acerrimo nemico, augurerei la sventura di perdere un figlio.
La capivo, la compativo. Sapevo cosa significasse rischiare di perdere un figlio, comprendevo quale immenso dolore si potesse provare nel sentirsi impotenti di fronte al destino.
"Mi dispiace per voi" dissi abbassando lo sguardo e sperando, in cuor mio che Samantha non avesse mentito su una cosa del genere. "Potevo avere un nuovo fratellino!" affermai con un sorriso mesto, mettendo la mano sulla spalla di mio padre.
"Sei diverso, David, forse avevi ragione tu, forse, allontanarti da noi è stata la scelta migliore per te." Mi fissò per un istante. "Sei cresciuto, Dave, sei diventato un uomo ormai."
"David, sei qui!" La voce squillante di Jamie ci fece voltare.
"James!" esordii andandogli incontro.
Il sorriso, che riempiva il volto di mio fratello, si spense non appena mi guardò in faccia.
"Che cazzo ti è successo!" esordì alzando un sopracciglio.

L'empatico Jamie... "Stai bene?" continuò, spingendo mio padre a osservarmi meglio."Sei dimagrito, hai gli occhi cerchiati."
"Sto bene!" ribattei, facendo il mio miglior sorriso. Non avrei voluto che mi ponessero domande sul mio stato di salute, non avrei saputo cosa rispondere. Improvvisai una risposta poco convincente, persino alle mie orecchie. "La vostra fantasia galoppa, sono soltanto un po' stanco. Diciamo che con gli anni sono diventato più maturo." Continuai, facendo loro l'occhiolino.
Mio fratello me l'avrebbe pagata, pensai, non volevo che mio padre si preoccupasse per me.
"Allora, la tua ragazza?" Jamie aveva compreso di aver fatto una gaffe. Nonostante gli anni trascorsi, ci comprendevamo ancora con un solo sguardo.
"La conoscerete presto, sono sicuro che l'adorerete." Sorrisi ancora, pensando alla mia piccola bambina.
"Perché non l'hai portata con te?" Non ero pronto, ecco perché.
"Diciamo che aveva bisogno di un po' di tempo per abituarsi al fatto che io abbia una famiglia..." sorrisi ancora, cercando di ammorbidire un poco la durezza della mia frase.
Mio padre distolse lo sguardo, colpito, colpevole, poi con una scusa si allontanò lasciandomi solo con mio fratello.

Eric Clapton – My father eyes

Solo un uomo (un uomo solo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora