26 - Fluire

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È bastato uno sguardo, o un gesto, o un breve colloquio.

La loro anima se n'è andata, per un istante, per un'ora.
(Søren Kierkegaard)


"Jamie sa di te, di quello che ti è successo?" Tentai di sviare il discorso da me e dal mio passato, per tornare alla vera ragione, per cui Tea si era presentata alle nove di sera a casa di un quasi sconosciuto. Il suo volto si sollevò verso il mio, mi fissò per un istante, con quei grandi occhi smeraldini, per poi abbassarli subito dopo.

"Non proprio!" I lunghi capelli, usati come schermo per nascondere la vergogna che aveva stampata in viso.

"Quindi, lui non sa nulla..." dedussi.

"Non volevo fargli pena." Rispose. Ora le sue spalle tremavano, leggermente scosse da piccoli spasmi.

Senza quasi rendermene conto, la mia mano si mosse poggiandosi sulla sua. Tea alzò gli occhi nei miei e per un istante infinitesimale, affogai nelle sue inquiete profondità .

Le sue dita s'intrecciarono alle mie in cerca di conforto, comprensione, rassicurazione, appiglio. Non ero io la persona destinata a questo compito, avevo già troppi casini, per poter anche solo pensare di accollarmene un altro.

"Jamie deve saperlo... lui non può comprenderti fino in fondo, se tu gli nascondi un segreto tanto grande." Feci una pausa prima di usare quelle parole, le sue. "Probabilmente, lui non pensava di essere stato cattivo... con te!" La mano di Tea strinse ancora di più forte la mia, ricambiai la stretta guardandola in viso. Volevo che capisse perfettamente e senza possibilità di errore, ciò che stavo per dirle. Io non potevo fare altro per lei. "Chiaritevi, parlagli, Tea, raccontagli di te, lascia che lui ti conosca!" Mi costava dirle quelle cose, ma era di Jamie che stavamo parlando, conoscevo le altezze che potevano raggiungere le sue sfrenate pulsioni, ma sapevo anche di quale struggente dolcezza fosse capace. Non era mio compito giudicare il loro rapporto, ne ero consapevole, eppure non riuscii a trattenermi dal dire una cosa che forse avrei dovuto tenere per me: "e se poi non te la sentissi di continuare... "

Tea alzò di scatto lo sguardo, prima concentrato sulle nostre dita intrecciate.

"Pensi che dovrei lasciarlo?" Chiese con una voce strana, venata qualcosa di molto simile alla speranza.

Era una domanda cui non potevo, né volevo rispondere, ero l'ultima persona sulla terra a poter parlare di relazioni sane. Non avevo il diritto di interferire sul suo futuro e sulle sue decisioni. Era della sua vita, delle sue scelte, che si trattava. In fondo al mio cuore sapevo che Tea aveva solo bisogno di sentirsi rassicurata e tranquillizzata; non le avrei mai consigliato di stare lontana dal ragazzo che forse amava, anche se, ne ero certo, questo ragazzo l'avrebbe fatta soffrire immensamente.

"Non credo di essere la persona giusta cui chiedere. Credo, che tu debba capire cosa vuoi da un rapporto di coppia e cosa sei disposta a dare. Solo così, potrai capire ciò che é più giusto per te!"

Ecco, questa era la cosa più giusta da dire. Pensai. Non prenderti una cotta per me, piccola Tea, io non sono l'uomo adatto a te.

Quasi percependo il flusso dei miei pensieri, Tea alzò gli occhi inchiodandoli nei miei, un lieve rossore a imporporarle le guance. Di fronte a quella bellezza pura e innocente avrei voluto, per un istante, dimenticare chi fossi e carezzare quelle guance rosate e morbide.

****

La voce di mia figlia a ridestarmi da un sogno ad occhi aperti che non avevo il diritto di fare. Ecco chi ero: un padre. Corsi nella stanza della mia Lizzie e presi la piccola tra le braccia: seguii tutte le istruzioni che Tea mi aveva dato la sera del colloquio, ma proprio non mi riuscì di calmarla.

"Ssh, è solo un brutto sogno" tentai di dirle. "Dormi ora, angelo mio." Sussurrai cullandola tra le braccia. Lizzie continuò a piangere disperatamente. "Cos'ha?" chiesi a Tea, che nel frattempo mi aveva raggiunto; la voce carica dell'angoscia di un uomo che non riusciva a gestire le urla disperate di sua figlia.

"Starà mettendo i denti, Dave, non è il caso di agitarsi tanto!" Le sue parole, cariche di una tenerezza che, forse, dopo le mie parole, non meritavo. "Una volta mi hai detto che suonavi per lei." Continuò la ragazza, prendendo Lizzie dalle mie braccia insicure. "Prova allora, suona per lei." Il suo sorriso tenero, mentre fissava la mia bambina, m'indusse a superare gli ultimi dubbi che ancora covavo nei confronti delle sue capacità di babysitter: lei ci sapeva fare davvero.

Precedetti Tea, con mia figlia ancora urlante tra le sue braccia, e seppure riluttante, decisi di sedermi di nuovo al pianoforte assecondando la sua richiesta. Le mani tremavano quando sfiorai i tasti, una volta miei amici fedeli. Dopo la morte di Chris, suonare era diventato difficile, lo facevo sempre più raramente e sempre con maggior fatica. Premetti il primo tasto lasciando che i ricordi s'impossessassero della mia anima. Il ricordo di Christina si fece strada prepotentemente, mentre le immagini del nostro primo incontro invasero la mia mente: sentii il cuore stringersi in una morsa d'acciaio; sentii gli occhi bruciare di lacrime che non avrei versato; le avevo finite da molto tempo, ormai.

Le mie dita suonarono una delicata Moon River.

Una volta l'avevo suonata per lei, Ricordai. Adorava colazione da Tiffany.

Perso nei ricordi e nei rimorsi, non mi accorsi del tempo trascorso a suonare, finché il tocco delicato di Tea non mi sfiorò la spalla per riportarmi alla realtà. Lizzie dormiva placidamente tra le sue braccia e per lei era ora di tornare a casa.

"Domani avrò bisogno di te, come avrai capito, ho un impegno con il tuo ragazzo." Le dissi accompagnandola alla porta dove suo fratello la attendeva.

Tea annuì, poi senza che avessi il tempo di accorgermi di quanto stava accadendo, sentii le sue labbra posarsi sulla mia guancia.

"Grazie per avermi ascoltata e consolata!" sussurrò, arrossendo per il suo gesto avventato. "Ci vediamo domani. Ciao Dave!"

In quel momento, il mio nome pronunciato dalle sue labbra, mi sembrò la cosa più bella che avessi mai sentito.

****

Caro diario,
Sono a casa di David... ancora.
Sono qui, a vegliare il sonno della piccola Lizzie e sono tormentata da mille dubbi.
Cosa mi è preso ieri?
Perché, dopo quanto è successo con Jamie, sono andata proprio da lui?
Forse perché ho scoperto che tra lui e David c'è un legame familiare o più semplicemente, perché speravo che facesse proprio quello che ha fatto; che mi accogliesse, mi aiutasse, mi consolasse.
Oddio, ero così sconvolta... gli sono quasi svenuta addosso!
Lui è stato splendido, ha preso la mia mano tra le sue e l'ha stretta, l'ha accarezzata. Mi ha parlato con tenerezza, con semplicità, mi ha spinto a riflettere, a pensare, ed io ho pensato ...tanto.

Ho pensato che non mi sono mai sentita tanto in pace come con lui; ho pensato che non ho paura di restare sola con lui; che provo un senso di grande protezione e calore accanto a lui e che mai, neanche i momenti più sereni con Jamie, sono stata bene come in quel singolo istante con David.
Cosa mi sta succedendo?
Come mai questo uomo dal passato oscuro e dallo sguardo triste mi prende così tanto da farmi dimenticare tutto il mio dolore?
Perché vorrei tanto passargli una mano sulla guancia e cancellare tutta l'angoscia dal suo volto?

E poi... poi l'ho fatto. Ieri, prima di andare via l'ho baciato... sulla guancia, ma forse, sì, forse avrei voluto che lui si voltasse e che le sue labbra sfiorassero brevemente le mie.



Audrey Hepburn – Moon River

Solo un uomo (un uomo solo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora