Nightmares

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A Ross che mi sopporta sempre capitolo dopo capitolo.

Mi sveglio di colpo nella notte sopraffatta dai miei incubi.

Incubi che continuo a sognare ormai da parecchio tempo. Un nuovo incubo non mi lascia dormire: vengo picchiata a sangue, sono a terra appoggiata sugli armadietti e una popolosa folla guarda la scena. Tre ragazzi robusti cominciano a darmi schiaffi e poi pugni sul viso fino a farlo sanguinare, mi tirano dei calci nello stomaco, mi accovaccio su me stessa cercando di evitarli ma sono sempre più forti. La folla sorride ai tre ragazzi e annuisce in consenso. Si fermano quando stavo per perdere completamente i sensi e sento una voce chiamarmi. La voce di Luke.

Dopo mi sveglio e sono in lacrime.

E vorrei tanto avere le braccia di Luke strette sul mio corpo ancora e ancora. Le sue mani che mi accarezzano i capelli cercando di calmarmi, cercando di far smettere le lacrime di scendere. Il suo profumo aspro e così dolce allo stesso tempo. Continuo a sentirlo in giro per la mia camera tra i miei vestiti, tra le lenzuola, è un profumo così forte e secco che il mio naso si rifiuta di dimenticarlo.

I suoi occhi calmi e rassicuranti, blu e azzurri, profondi e leggeri, cupi e pieni di luce, così difficili da decifrare.

E il suo cuore così veloce, battito dopo battito.

Sposto il polso sotto il mio sguardo accurato e mi accorgo di quanto sia diventato gonfio e colorato di viola verde e nero. Poso una mano sui lividi e sussulto per il dolore. Vado in bagno, prendo qualche fascia e l'avvolgo sopra quei brutti segni. Il dolore sembra attutirsi leggermente.

Metto la giacca e ne assaporo il profumo.

Appena entro a scuola tanti occhi mi scrutano e alcuni volti ridono.

Cammino cercando di non guardare nessuno ma riesco a sentire il rumore delle risate in sottofondo. Sento pronunciare il mio nome come se finalmente l'avessero scoperto tutti e si fossero accorti di me. Non ero sicuramente sulla bocca di quella folla perchè ero diventata famosa o perchè ero bella o mi vestivo bene, parlavano di me per quanto era successo il giorno precedente. Per il resto della scuola ormai ero la sfigata che scrive sul diario.

Non capisco cosa ci sia di "sfigato" nello scrivere su un paio di pagine tutte quelle cose sensate che mi passano per la testa. Non capisco perchè delle parole scritte a matita possano essere giudicate invece di alcune stupide parole dette a voce e gettate così, a casaccio. Parole per cui non si riflette, dette tanto per dirle.

Alzo lo sguardo per un attimo e senza pensarci più di un minuto mi avvio fuori scuola. Dietro la scuola, mi siedo sulla panchina di sempre. È desolato e la luce del mattino filtra tra gli spazi che le foglie lasciano.

L'aria, che diventa di giorno in giorno più sottile e fresca mi sfiora il viso e rabbrividisco per il freddo. Mi stringo un po' di più nella mia giacca contorcendo il naso per il dolore che provoco con questo innocuo gesto al mio polso destro.

Decido di prendere il mio diario per scrivere qualcosa che possa far passare il tempo più in fretta.

Dear diary,

non riesco a capire cosa c'è di sbagliato e di diverso in me. Non capisco perchè scrivere su un diario sia una cosa da sfigati.

Io penso che sia bellissimo fissare i propri ricordi in delle pagine per riviverle tutte le volte che se ne ha il bisogno. Penso che sia straordinario riuscire ad intrappolare le parole giuste, le parole che nessuno, compresa me, ha il coraggio di pronunciare, in delle pagine pulite, che hanno solo voglia di essere sporcate. Così le scrivo. Scrivere mi rende più facile controllare i miei pensieri e talvolta anche le mie emozioni. Con quelle ci sto ancora lavorando.

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