Fear

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La luce era chiara e la stanza sembrava non avere nessuna porta o via d'uscita.
Mi sentii un puntino piccolo ed inutile tra l'immensità in cui mi trovai. Per un attimo mi sembrò che l'infinito si trovasse in questo luogo bianco e senza spazi. Mi sentii intrappolato in uno spazio senza limiti.
Provai a chiedere se qualcuno si trovasse in questo posto indefinito ma nessuno rispose, solo l'eco della mia voce.
Mi rannicchiai sul pavimento e mi sembrò di cadere, chiusi gli occhi e vidi l'oscurità, l'opposto del luogo candido e puro in cui mi trovavo.
Li riaprì subito e riconobbi gli occhi che mi stavano fissando, chiari e di un brillante verde acqua. Michael era lontano da me almeno venti metri ma riuscivo a vederli bene come se fossero stata l'unica cosa che avrei voluto vedere dopo tanto tempo ormai.
Mi alzai di scatto e cominciai a correre ma non riuscivo mai a raggiungerlo, più correvo più mi allontavo. Decisi di fermarmi ed osservalo fino a quanto avrei potuto.
"Mi manchi, sai?" parlai forte sperando che in questo strano posto lui potesse sentirmi.
"Vieni da me, mi sento solo qui." disse Michael cambiando argomento. Mi stupii sentire di nuovo la sua voce limpida e forte.
Sentii le lacrime gonfiare i miei occhi ma non lasciai che scorressero tra le mie guance. Chiusi gli occhi ed era buio, Ashton mi guardava ridendo.
"Il bianco è l'amore, il nero è l'odio." Scomparve quando riaprii gli occhi per rivedere Michael.
Era vicinissimo a me, così tanto che se avessi fatto un'altro passo avrei potuto abbracciarlo.
Mi sentii cadere nel vuoto.

"Luke, svegliati." mi sembrò di sentire mia madre chiamarmi "Calum ti sta già aspettando di sotto." parlò di nuovo questa volta con una voce spazientita.
Alzai il braccio destro per avvertirla che ero riuscito a svegliarmi, gesto che usavo tempo fa quando era lei a svegliarmi tutte le mattine, quando non avevo bisogno di programmare nessuna sveglia.
Chiuse la porta e mi lasciò da solo nella mia stanza.
Prima che me ne accorgessi ero dentro la doccia a pensare a quanto avrei voluto abbracciare Michael anche soltanto in un sogno.
Mi sarebbe bastato immaginare le sue grandi braccia, stringermi per un'ultima volta. L'ultimo abbraccio che non avevo ricevuto, che non ero riuscito a dargli.

Acchiappai dall'armadio la prima felpa che avvistai e la indossai.
Scesi di corsa le scale e aprii la porta, Calum era seduto sugli scalini, mi avvicinai a lui e mi appoggiai sulla parete.

Conoscevo così bene Calum da sapere che l'essere puntuale non era un'abitudine o un principio di vita ma un modo per cercare di dialogare e discutere con una mente cupa e misteriosa come la mia.
"Come stai?" disse lui come da copione. E io accennai di stare bene seguendo la normale routine.
"Perchè sei venuto così presto?" chiesi conoscendo già la risposta che aspettai solo di udire.
"Volevo parlare." affermò il ragazzo dagli occhi scuri e profondi come la pece. Mi scrutò curioso di vedere l'espressione cambiare nel mio viso.
"Di cosa?" domandai.
"Quella ragazza come si chiama?" chiese Calum con sospetto, aveva il viso rigido e contratto ma poi si sciolse in un sorriso.
"Quale?"
Calum buttò gli occhi al cielo e ritornò a guardarmi.
"Quella che a volte aspetti dopo scuola, quella che ti porti a casa, che scrive sempre su un diario come fai tu." decise di stare al gioco e cominciò a ricordarmi dei particolari che finsi di aver dimenticato.
"Hazel." affermai sopirando come se mi dispiacesse affrontare l'argomento.
"Ti piace?" ridacchiò Calum dopo aver parlato. Sentii le mie guance avvampare per un attimo ma riuscii a sovrastare le mie emozioni. Non parlai.
"Chi tace acconsente, Luke." rise e mi guardò, ma smise quando notò il mio volto serio che scrutava il suo, quasi divertito.
Nessuno dei due parlò.

"Sono rientrato nella sua stanza." sussurrai sperando di non essere sentito, sperando che la mia voce sia stata troppo flebile per essere percepita.
"Che hai detto?" disse Calum girandosi verso di me incredulo, si alzò dagli scalini su cui era seduto e si avvicinò a me.
"Sono rientrato nella stanza di Michael." parlai piano e osservai l'espressione sul suo viso, un misto tra incredulo e fiero.
"Ed Hazel era con me."

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La campanella suonò subito dopo che presi tutto l'occorrente per l'ora successiva dall'armadietto e arrivai in tempo in classe.
Sulla soglia notai Hazel seduta nell'ultimo banco dell'aula da sola che scriveva sul suo diario.
Mi diressi verso di lei per riempire il banco di fianco ma pensai al giorno prima e senza rifletterci troppo mi sedetti lontano da lei, tre banchi prima. Non mi sentii a mio agio fino a quando gli altri alunni non cominciarono a prendere posto nell'aula, riempiendo i banchi vuoti.
Presi il mio diario e decisi di scrivere.

Dear Michael,
non so nemmeno perchè sono qui, seduto da solo, lontano da Hazel.
Forse ho paura oppure ho solo bisogno dei miei spazi. In realtà entrambe le opzioni sembrano sbagliate.
Comincio a pentirmi di quello che ho fatto, di aver raccontato la tua storia ad Hazel, di essermi aperto con lei solo perchè è stata gentile con me.
Se ci rifletto ancora sono sicuro che tra un'ora avrò un'opinione diversa.
Forse non è pentimento.
E se fosse paura?
Hazel mi conosce da poco ed ha già visto la parte più debole di me ed è riuscita a calmarmi, a farmi sentire meglio, a farmi sentire qualcosa. Quando mi stringeva ed ero in lacrime, mi sono sentito parte di qualcosa.
Vederla piangere per il mio sconforto ha solo spezzato il mio cuore in mille altri pezzi, vederla sorridere li ha rimessi al loro posto uno ad uno.

Alzai lo sguardo e il professore stava già spiegando la lezione.
Mi girai per vedere se Hazel si era accorta della mia presenza e quando i suoi occhi incontrarono i miei, capii che stava aspettando solo quello sguardo. Mi fece un cenno con la mano e sorrise un po' imbarazzata.
Mi voltai di scatto e non ricambiai il saluto. Mi pentii anche di questo gesto qualche minuto dopo.
Sentii il trillo della campana e mi precipitai nel corridoio cercando di mischiarmi tra la gente, cercando di non essere notato.

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Andai verso l'uscita della scuola e mi sentii finalmente meglio quando oltrepassai lo stipite dell'ingresso.
Mi rilassai e cominciai a camminare verso casa, piano e senza nessuna fretta. Notai il mio volto riflesso su delle piccole pozzanghere che riempivano gli avvallamenti della strada.
Ero quasi arrivato a casa quando sentii dei passi proseguire verso la stessa strada e mi girai per guardare chi fosse.
Hazel camminava a testa bassa e teneva stretti al petto il suo diario e un libro, alzò lo sguardo e sorrise dopo avermi visto. Rimasi impassibile e continuai a camminare per la mia strada mentre i suoi passi si facevano più veloci e vicini.
"Luke." parlò Hazel sperando di essere ascoltata, feci finta di non sentire.
"Luke fermati." disse di nuovo lei e questa volta mi fermai ma non mi girai a guardarla. Aspettai che mi raggiungesse per sentire cosa aveva da dirmi.
Arrivò di fronte a me e mi guardò perplessa cercando una spiegazione alla mia indifferenza.
"Perchè mi stai evitando?" mi chiese, provando a trovare una risposta al mio vile comportamento.

Non lo so perchè ti sto evitando.

"Luke, non devi aver paura di avermi mostrato troppo di te." disse piano, sentivo i suoi occhi bruciare su di me. Non la guardai, il mio sguardo rimase sulla strada.
Percepii la paura farsi posto dentro di me, qualcosa di incontrollabile e doloroso. Era uno strano tipo di dolore, bruciava lo stomaco e poi passava al cuore. Sentii il fiato farsi più corto e i polmoni affrettarsi per reggere lo sforzo.
"Guardami." sussurrò Hazel e obbedii al suo comando scrutando i suoi grandi occhi marroni.

Ammisi di avere paura di averle raccontato fin troppe cose su di me, di esserle stato così vicino, di essermi abituato alla sua presenza e ai suoi sorrisi piccoli e sinceri. Ammisi di avere paura del modo con cui mi faceva sorridere, del modo con cui mi aveva fatto stare meglio quando stavo peggio, del modo con cui la sua mano cinceva la mia spalla e l'altra mi accarezzava per cercare di farmi smettere di piangere.

Guardai per un'ultima volta i suoi occhi che aspettavano una mia risposta. Scrutai le sue labbra socchiuse, lisce e di un colore roseo. Mi avvicinai un po' di più a lei e le spostai alcune ciocche dietro l'orecchio. Sfiorai con il mio palmo freddo il suo viso e la sentii sussultare.
Poggiai le mie labbra sulle sue morbide e calde, percepii uno strano tepore scaldare le mie fredde e screpolate.
Posizionai le mie mani sulla sua schiena e la strinsi, spostai le mie labbra dalle sue e appoggiai la mia guancia sui suoi capelli assaporando con piacere il profumo che emanavano.

Devi smetterla di percepirmi Hazel, devi smetterla di capirmi tutte le volte che nessuno riesce a farlo, tutte le volte che nemmeno io riesco a farlo.

you complete mess | l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora