Tears

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Dioscuri (da Dioskuroi cioè "figli di Dio") è il nome con cui sono conosciuti Castore e Polluce, figli di Zeus e di Leda, la moglie di Tindaro, re di Lacedemone. La notte in cui i Dioscuri furono concepiti, Leda si unì anche al marito e da quella notte di amore, oltre a Castore e Polluce, nacquero anche Elena e Clitennestra. Ci fu discordanza fra gli antichi per stabilire chi dei figli fosse nato dal seme del dio e chi, invece, dal quello di Tindaro. Alla fine si attribuirono a Zeus, Polluce ed Elena che quindi furono considerati immortali, e a Tindaro, Castore e Clitennestra, considerati mortali.

I due fratelli furono anche chiamati Tindaridi, o figli di Tindaro.

Castore è visto come un bravissimo domatore di cavalli e Polluce è considerato un ottimo pugile.

La loro leggenda si contraddistingue per il grande amore fraterno che li legò in vita e che durò anche dopo la morte. Furono amici inseparabili e quando, in seguito ad un agguato, Castore fu ucciso e Polluce ferito, Zeus chiamò con sé nell'Olimpo Polluce, questi rifiutò l'immortalità se la stessa sorte non fosse toccata anche a suo fratello Castore. Zeus, colpito da quest'amore fraterno, promise loro di farli restare sempre insieme, un giorno nell'Olimpo ed un giorno sotto terra, negli Inferi. Si vedono allora i due eroi, resi immortali, vivere in eterno sia alla luce che nelle tenebre.

Pensai a Polluce quando ascoltavo Luke parlare di Michael.

Riuscii a percepire il dolore e lo sconforto che animavano il discorso di Luke, immaginai la lacerante sofferenza che lo accompagnava giorno dopo giorno e il vuoto che l'assenza del fratello aveva lasciato. L'impossibile voglia di riportarlo indietro e di vivere tutta la vita al suo fianco, di imparare, di crescere, di sognare con lui. Il desiderio di ritornare indietro e aggiustare tutto, coccio dopo coccio, passo dopo passo, con pazienza ed amore. Desideri che non possono più diventare realtà.

"Mi dispiace, Luke." dissi con profonda sincerità cercando gli occhi del biondo impegnati a guardare il cielo cupo e grigio, pieno di nuvole. Il suo viso assunse una smorfia stentata. Si girò nella mia direzione e annuì.

"Andiamo." disse soltanto Luke alzandosi dalla panchina, si posizionò di fronte a me, in attesa che mi alzassi e camminassi di seguito a lui.

Non chiesi dove eravamo diretti, non avevo bisogno di saperlo. Mi bastava sapere che avrei passato altro tempo con lui, che forse avrei potuto sapere altre cose sul suo conto ed ascoltare ancora la sua voce cupa e particolare. Avrei potuto seguire il movimento delle sue labbra quando pronunciava il mio nome e l'accento tipicamente australiano con cui lo scandiva.

Era sufficiente stare di fianco a lui ed osservarlo mentre si perdeva nei suoi pensieri e le smorfie che faceva quando fantasticava.

Riconobbi la strada verso casa sua e capii di aver indovinato la sosta finale. Camminammo lungo il viale per cinque minuti e arrivammo sotto il porticato in tempo, qualche minuto dopo cominciò a piovere.

"Dai entra." mi disse Luke sorridendomi, aprendo la porta di casa sua. Le luci erano spente e non si sentiva alcun rumore, da questi indizi capii che nessuno era in casa.

Luke salì le scale a due a due, azione che non sembrava essere difficile da compiere per un ragazzo con delle gambe così lunghe come lui.

Non provai a salire le scale come Luke aveva appena fatto e scalino dopo scalino arrivai al capolinea dove Il biondo mi aspettava con un'espressione impassibile sul volto. Quando entrai nella sua stanza assoporai un dolce profumo di fiori e mi accorsi che un albero d'arancio faceva capolino dalla sua finestra.

"Che buon odore." pronunciai ammirando i piccoli fiori sicuramente germogliati da poco, da più vicino.

Mi girai verso il letto dove Luke era disteso in una posizione piuttosto comoda con le mani dietro il capo e lo sguardo puntato sul soffitto.

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