Alla Stazione

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Ora volerai, Fortunata.

Respira. Senti la pioggia.

È acqua.

Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice,

uno di questi si chiama acqua,

un altro si chiama vento,

un altro ancora si chiama sole ed arriva sempre come ricompensa

dopo la pioggia.

Apri le ali...

Ora volerai.

Il cielo sarà tutto tuo...

(Luis Sepùlveda - Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare)

«Addio, piccolina.».

«Zia...non sono più piccola, lo sai.» Artemiya stringe zia Inga a sé, avvolgendola nella nube di vapore che si porta appreso da quando sono uscite di casa.

Ingika trattiene le lacrime, lo sente, ma non le dice di non piangere, non vuole farlo: è così giusto il pianto, perché mai gli uomini dovrebbero vergognarsi di piangere?

«Non ti dimenticherò mai...mai, Artemiya Sokòlova, mai. Sappilo.».

Artemiya annuisce, lasciando andare il corpo della zia, guardando i suoi lucenti occhi verdi, così simili ai suoi, così fieri.

«Nemmeno io lo farò, zia. Ti ricorderò sempre.».

Le due donne rimangono a guardarsi, dritte come giunchi, come piccoli feudi flessibili, ma mai infrangibili.

«Fai buon viaggio, Artemiya.» dice zia Inga senza scomporsi.

«Grazie, madre. Ti auguro una vita dorata, più splendente della stella del Nord.» dice Artemiya facendo un passo indietro.

Inga la osserva voltarsi, per sparire lentamente nei fumi emanati dalle macchine motorie, grandi bestie dai muscoli pulsanti, animali feroci pronti a scattare verso mete ignote, lontane, caliginose.

Artemiya non tornerà più a San Pietroburgo: mai più sarà la stessa ragazza timida con sogni più grandi degli Oceani, e Inga ne è consapevole.

Così, con la sua aria da moscovita sperduta nella capitale europea della Grande Russia, Inga se ne torna indietro, giovane invecchiata in fretta, grigia e maestosa donna russa, fiera e combattiva anima guerrigliera, le mani strette nelle tasche e il cuore volto lontano, verso il ricordo di tempi brillanti come la scalinata degli Zar.

Ad Artemiya le ferrovie ispiravano nostalgia: nostalgia del passato, ma anche del futuro, perché lei era convinta che la nostalgia potesse essere provata anche per cose mai vissute. Le ferrovie indicano sempre un arrivo ed un nuovo inizio, da intraprendere alla mèta raggiunta: che per lei, la mèta principale, già gloriosamente raggiunta, fu il primo passo su suolo romano.

Ora, lei è là, ferma in mezzo alla via calpestata da orde di viaggiatori affannati: di nuovo su quel terreno, ma questa volta ad attendere.

Aspettava l'arrivo di Enrico, stretta nella sciarpa rossa, gli occhi fissi dinanzi a sé, pensando a ciò che sarebbe potuto accadere.

Elisa era rimasta nel suo appartamento: secondo lei, il fratello si sarebbe rassegnato a non trovarla nel suo alloggio, tornando subito dopo a casa, con la coda tra le gambe e a bocca asciutta. Ma Mia non si fidava di quel suo sesto senso, il suo lato razionale aveva studiato tutte le carte, ed era arrivato ad un bivio. Perciò era uscita con una scusa, perché Elisa le avrebbe proibito di incontrare Enrico: le aveva detto che sarebbe andata a trovare Marco, per vedere come stava andando, se aveva bisogno di qualcosa.

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