Ti Amo

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Elisa fissava ormai da tempo la parete bianco panna dell'appartamento di Artemiya. E per quanto non volesse pensare alla sua metà, il pensiero correva sempre a lei, distruggendo l'attimo di meditazione che di solito precedeva il momento della scrittura.

Suolo e freddo, ali e pioggia.

Sento ancor sulla mia pelle il tuo odore di viole e rose.

Brucia e chiama, pretende e desidera.

Voglio capire come...

Niente. Vuoto.

«Porca puttana.» soffiò tra i denti, imprecando contro Apollo per il non concederle l'ispirazione. Era da giorni ormai che non scriveva qualcosa di accettabile, e se non vinceva un dannato concorso non avrebbe guadagnato abbastanza soldi. E il suo conto in posta segnava rosso.

«Dannazione!» urlò, scagliando il vissuto quaderno contro il pavimento, continuando a torturare la penna con la bocca, rimanendo seduta sul divano a gambe incrociate.

Decise di uscire, magari l'aria fresca le avrebbe rischiarato le idee.

Fuori, vicino alla piazza, c'era un negozio che ogni volta incuriosiva la nostra ragazza. Ma gli impegni le impedivano sempre di andare a scuriosare, e più che altro era perché non ci dava tanto peso. Passandoci davanti per l'ennesima volta, colse l'occasione al volo, facendo tintinnare il campanello della porta in legno antico.

«Ehm... scusi, è permesso?» chiese gentile, scrutando con sguardo curioso l'interno del negozio angusto dentro il vicolo chiuso.

Una miriade di colori sgargianti e tessuti variegati si dispiegarono di fronte a lei, accecandola leggermente.

Una signora, seduta al balcone, stava facendo una maglia ai ferri. Gli occhiali di grossa montatura nascondevano gli occhi castani, velati leggermente di bianco.

«Buongiorno signorina... entri, prego.» disse gentile la commessa, continuando a sferruzzare. Elisa la scrutò, una maglia di lana rossa avvolgeva la donna, e le parve di notare una gonna semplice color panna sotto il balcone. Le mani grinzose e piccole tremavano leggermente mentre con pazienza e accurata esperienza passava il filo sopra e sotto il ferro. I capelli, in parte bianchi e in parte biondi, erano corti e portati tirati indietro.

«Mi scusi se la disturbo... ero solo curiosa di vedere cosa vendete in questo negozio...» spiegò Elisa impacciata. Davanti alle persone anziane si sentiva sempre impacciata. Con sua nonna era uguale, indossava la maschera della nipotina gentile. Ridevano sempre loro, e sua nonna quando rideva, lo faceva così di gusto che varie volte le scappava la dentiera, facendo ridere ancora di più la nipote. Quante cose aveva imparato da lei.

«Elisa...» la nonna chiamò la nipote, ancora piccola, ancora innocente, ancor pura.

«Dimmi nonna!» rispose, esuberante come sempre.

«Osserva...» e con dolcezza le mise in mano i ferri, insegnandole i passi per finire i punti e ripartire da capo.

Quante partite di carte.

«Nonna! Non barare! Per la matta servono due assi, e non uno solo!» trillò la bambina, fermando la mano della nonna che solo durante le partite diventava veloce a rubare le carte.

«E no cara! A casa mia questa regola non vale!» e con velocità strappò la carta, ridendo proprio come il pagliaccio disegnatovi sopra.

Elisa sorrise dolcemente. I ricordi lieti erano pochi nella sua mente, e di quei pochi alcuni erano con la nonna, dolce donna dai capelli sempre bianchi e biondi. Gentile signora dalle mani rugose ma tenere e che regalavano sempre una carezza.

La vita sulla pelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora