Grammofono

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Se lo guardi non te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio... Tutto quell'infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando brucia nella notte.

Alessandro Baricco

Le aveva assicurato che avrebbe fatto presto: una corsa, una dormita. Quando si sarebbe risvegliata, sarebbe stata al suo fianco. Glielo aveva giurato.

Perché anche se quegli occhi bruni erano ripieni di paura e stupore ovunque essi si posassero, per quanto la sua voce sussurrante pareva terrorizzata dal disturbare gli dei, quella donna era la stessa. Era Elisa, solo che si era irrimediabilmente chiusa in un ripostiglio ed ora non trovava la chiave.

Artemiya, chiusa a doppia mandata la porta dello chalet, salì in macchina, cacciando la borsa in cui aveva schiacciato qualche oggetto di proprietà di sua moglie sul sedile del passeggero. Tornò in fretta all'ospedale. Come se Elisa avesse potuto ricordare d'un tratto. Come se le sue mani avessero potuto tornare le dolci compagne di sempre, e non quelle recalcitranti e impaurite della degente.

Si era cambiata d'abito, Mia. Si era vestita di rosso. Aveva indossato l'abito di cachemire rosso Falun che a Elisa piaceva tanto. O che era tanto piaciuto. Chissà che tempo verbale avrebbe dovuto usare, d'ora in poi.

La trovò sveglia, sdraiata immobile nel lettino. La testa affondata nel cuscino, la garza ben stretta alle tempie. Gli occhi cheti rivolti al soffitto con fare pensieroso, una lieve curiosità a colorare le sue gote bianche come latte versato. E attesa. E impazienza.

Quando la vide sull'uscio, la borsa da viaggio stretta in mano, non seppe bene che fare. Aprì la bocca per parlare, le labbra colorate del rosato sangue della salute ritrovata, ma non seppe che dire, e la richiuse. Artemiya, un po' dispiaciuta, si sforzò di sorridere.

- Ciao – sussurrò.

- Ciao – disse Elisa con lentezza, - dove...dove sei stata?

Mia si avvicinò al letto, il sorriso mesto impresso sul volto come una terribile rivelazione scottata nelle pelli di una geisha. Poggiò lo borsa ai piedi del letto, e si sedette.

- Sono stata a casa – rispose, - nella casa dove avresti dovuto passare il tuo viaggio di nozze.

- Viaggio...di nozze? – balbettò Elisa. Nel suo cervello martoriato, quelle parole avevano un significato, seppur vago, come la consistenza della polvere sulle dita di un bambino.

- Sì – annuì Mia, - eri venuta qui per questo. Poi, nel bosco, sei caduta, e hai perduto la memoria.

- Quindi io sono...sposata? – domandò Elisa. I suoi occhi erano ora scintillanti di agitazione. – E lui...dov'è?

Artemiya conosceva il modo con cui si sfondavano i tamburi. Il modo in cui la pelle tesa si piegava, cadeva, e si lacerava sotto una forza troppo potente per non desistere. E avvertì questo, all'interno di sé. Prima uno strappo al ventre, poi alla testa. Infine, al cuore. Che perse un battito, un battito che mai avrebbe potuto ritrovare. Ma non fece nulla per impedirlo. Solo, lasciò cadere una lacrima.

- Lui...- mormorò. Elisa la osservava, lo sapeva. Attendeva una risposta.

- Non ricordi proprio nulla? – volle allora ripiegare, con un filo di voce, sulla domanda a cui, sapeva, non ci sarebbe stata una risposta.

Elisa tacque. Come poteva saperlo? Come poteva distinguere i sogni che l'avevano avvolta per quelle lunghe ore dagli stralci di realtà che le erano rimasti?

Poi gemette sommessamente, portandosi una mano alla testa. Artemiya, spaventata, si alzò, e la prese tra le braccia. La sentì rigida, sul suo petto. Eppure calda, viva. Quel calore che probabilmente le sarebbe sfuggito come un nastro che sfugga da dita impreparate al vento.

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