Luce. Bagliori. Dolore.
- Elisa! –
Rumore, rumore senza senso... no. Un senso l'hanno.
Respiro, aria! La bocca s'apre, un muscolo che non sapeva d'avere.
Dolore. Bisogno di luce. Lentamente aprì le palpebre involontariamente – palpebre? -.
Troppa luce. Troppi bagliori. Troppe verità.
Sentì un muoversi agitato al di là della sua testa, fasciata come un... un...
Un uovo rotto? Come sbattuta all'interno di una melma gibbosa.
- Elisa... oh, Elisa... Elisa... -
Il rumore continuava a rimbombarle nella testa e nelle orecchie. Si sentì toccata, sfiorata, carezzata. E le diede fastidio.
Cosa è "Elisa"? si domandò.
Aprendo gli occhi, stavolta lentamente, si preparò all'impatto di informazioni. La vista, da prima annebbiata, prendeva via via più dettagli. E la massa informe di rosa e giallo prese forma. Un viso. Una persona. Dallo sguardo e dagli occhi quasi alle lacrime direbbe triste, ma il sorriso spezzava tutto. Era entusiasta...? Ma per cosa?
La guardò, spaventata dalla vicinanza e da come la guardava morbosa.
Le sue mani la stavano toccando, le tenevano la testa che tanto le doleva.
Con le mani – altra nuova scoperta! – tentò di prenderle e lentamente allontanarle. Ma la presa era debole.
«Che c'è? Non ti senti bene, qualcosa non va?» domandò la bionda, che la guardava disperata, bisognosa di lei.
«Tu... chi sei?» chiese roca. E vide, nei suoi occhi verdi – bellissimi? – qualcosa spezzarsi.
«No... no...» mormorò con disperazione, riprendendo a piangere a fiotti. Si lasciò cadere pesantemente su una sedia, gettando il volto insieme alle mani sul materasso che l'accoglieva. Continuando a ripetere la negazione di tutto. Negare che cosa?
Me?
«Chi sono... io?» domandò, guardando la ragazza nascostasi tra le braccia. E, vedendo che non l'ascoltò, le toccò la spalla per ottenere attenzione.
«Mi rispondi!?» fece, con un tono che non riconobbe come giusto. Appropriato.
Appropriato per cosa?
Chi sono io?
Perché questa donna piange?
Chi è lei?
La bionda alzò lo sguardo con un viso distrutto. E sorrise. Un sorriso mesto. Quasi sconfitto.
«Piacere... Artemiya.» disse, con voce arrochita dal pianto. Lacrime che ancora scendevano. E nella ragazza appena svegliata sentì in un moto di tristezza gigantesco. Si sentì morire. E non capì come mai avesse una morsa qui, nel petto.
«Non... non piangere.» le chiese la mora, guardandola. Gli occhi aperti. A guardarla supplicante. La gola secca, la che parlò le sembrò atterrita. Gli piaceva, quella voce amara. Ottenne uno sguardo di sorpresa dalla bionda.
«Per favore...» aggiunse, come una bambina sgridata dall'esser scortese.
Portò una mano al petto, sopra la vestaglia leggera dell'ospedale.
«Perché... le tue lacrime mi fanno male... qui.» fece, indicando la zona del cuore. E la bionda, piangendo di nuovo, le prese la mano lasciata abbandonata sul letto. La baciò disperata, e un moto strano le sopraggiunse nel corpo. Una sensazione estranea, che non le piacque. Scostò la mano, spaventata.
«Dove... Sono?» domandò, guardando Artemiya come una saggia con tutte le risposte possibili sotto mano.
La bionda, rimasta delusa dall'atteggiamento della mora, si asciugò veloce le gote umide, per poi risponderle con un tono di voce più basso.
«Siamo in ospedale.» rispose, guardandola negli occhi intensamente. Uno sguardo che, Elisa provò sulla pelle come bruciante, sprezzante, dolorante, ferito, deluso e... pieno d'amore.
Amore?
Amore...?
Questa landa di natura... perché mi colpisce come una tempesta di granitiche lame di verità?
«Sì... sei caduta e ti hanno portato qui...» fece Mia, raccogliendo il libro a terra. Lo spolverò, per poi sistemarlo sul comodino. Gli occhi ancora spenti, ad osservare le sue stesse mosse.
«Elisa... ma non ti ricordi proprio niente?» chiese poi, con disperazione ancora nella voce. Un briciolo di speranza già morta.
Ancora Elisa! Ma cos'è "Elisa"?
«Cos'è Elisa?» domandò, curiosa la mora. Gli occhi completamente schiavi delle parole della russa. Una donna già uccisa di speranze inutili e vane.
«Elisa... è il tuo nome. La tua essenza. La tua esistenza.» fece, guardandola quasi incattivita. Arrabbiata con lei ma anche con se stessa.
Elisa? Io?
E nella testa scoppiò un fulmine di dolore lacerante, facendola urlare. Nella mente un film in accelerazione. Bambina che corre, bambina che cade, dolore, ginocchio, occhi scuri e cattivi, capelli caduti, uomo, pugni, dolore, albero, coniglio azzurro, pianti, sangue, dolore...
«AH!» urlava, la gola di Elisa, disperata. Le mani che stringevano quell'uovo rotto che ora pugnalava come una lama affilata.
Urlava e si dimenava. Sentì mani, braccia. Sentì dolore e poi...
- di nuovo? –
Nella mente che, quasi lenta stava calando nell'immenso nero della sua mente, una voce che parlava nella sua testa, con una voce bassa quasi sempre affranta, ferita, ma orgogliosa. Una voce bassa, ma di donna. Ma con una nota di così trasportato affetto da sentirsi imbarazzati al solo sentirla così vicina e... così intima.
Una voce d'anima. La sua voce.
...E ti amo.
Con tutto il sole che io possa assaporare.
Perché il mio sole, Amore mio, sei te...
"Cosa? E tu... Chi sei?".
...
...
...
E poi... il nulla.
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La vita sulla pelle
RomanceElisa e Artemiya, la loro storia, l'amore e la vita, perché il tempo di gioire è sempre sfuggente.