Cardio

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"Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l'altra anima.

Non più due, ma un'anima sola"

Platone – Simposio

Elisa sorrise intenerita allo sbuffo innervosito di Artemiya.

La donna, avvolta in un lungo golf color malva, stava piegando gli abiti e riponendoli in valigia. Domani sarebbe stata dimessa, con grande gioia della degente.

La giovane Santoro si avvicinò a lei in silenzio, passi felpati attraverso il lieve scalpiccio delle scarpe, rimanendo per un attimo alle spalle della bionda ancora affaticata, e l'abbracciò delicatamente da dietro. Artemiya sorrise prendendole le mani, appoggiando la testa contro la sua spalla così da scoprire il collo niveo ai suoi baci. Elisa vi si buttò, assaporando finalmente la pelle che ancora non aveva voluto toccare nel breve periodo di degenza, e Mia sospirò.

- Ecco ciò che mi è davvero mancato – disse voltandosi, le mani sul morbido seno della donna, gli occhi incatenati ai suoi, le labbra lievemente inarcuate a formare un sorrisetto malizioso.

- Piccola, piccola mia – gemette Elisa baciandola profondamente. Fece per sollevarla dai fianchi, ma si ricordò della ferita ancora dolorante. Così si abbassò quel poco da poterle stringere i glutei e sollevarla, facendola ridere per il momentaneo vacillamento, portandola al letto immacolato dietro di loro.

La posò sulle lenzuola candide con delicatezza, sistemandole poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Artemiya sorrise, giocando con il bordo del suo maglione.

- Allora, che aspetti? – sussurrò la russa, - non mi vuoi?

- Aspetta a dirlo – ringhiò Elisa: un suono gutturale, roco, tremendamente eccitante.

Infilò le dita nei pantaloni di Artemiya, tirandone l'elastico. Carezzò la sua intimità, umida oltre la stoffa della biancheria, strappandole un gemito.

- Elisa...- implorò, - fammi tua...

- Qui? – chiese provocante, abbassando il confine di pizzo delle mutandine, - lo faresti davvero, in questo letto d'ospedale?

Artemiya si dimenticò di rispondere e spinse il bacino verso la compagna.

Elisa sorrise. Com'era bello il suo viso, le labbra socchiuse dal desiderio, le gote arrossate come ciliege ad un passo dalla maturazione, gli occhi socchiusi, lucidi di passione. Si abbassò a baciarla, accarezzandola. Le toccò la carne, fece per possederla. Quando qualcuno bussò vigorosamente alla porta.

- È permesso? – chiese Enrico.

- No, maledizione, no che non lo è! – esclamò Elisa.

Artemiya, abbandonata l'espressione insoddisfatta, rise. La sua compagna si rimise dritta, aiutandola ad alzarsi e ad aggiustarsi e andò ad aprire la porta.

Enrico aveva un'espressione vagamente sorpresa.

- Interrotto qualcosa? – chiese alla sorella.

- La tua crescita, forse – borbottò lei. Artemiya le lanciò un'occhiataccia. – No, non hai interrotto nulla – si corresse.

- Ah...- fece Enrico. Fece un gesto ad Artemiya, che ricambiò cortese, ravvivandosi i capelli con le dita.

- Potreste raggiungermi di là? Vi devo dire una cosa...- chiese Enrico. Elisa aggrottò la fronte.

Salvatore sorrideva sempre, vedendolo. La sua espressione corrucciata, quando arrivava lui, si distendeva in un grande e radioso sorriso, gli occhi da husky si scaldavano, ghiaccio baciato dal sole.

Paola lo notò anche questa volta. Cosa voleva Enrico? Come poteva anche solo pensare di stare con lei per pietà?

- Enrico...- tentò di dire, ma fu subito interrotta e portata in una di quelle stanze ospedaliere. Elisa le si avvicinò sorridendo, mano nella mano con Artemiya.

- Ciao, Paola – disse. Le schioccò un bacio sulla fronte, ma lei non rispose.

- C'è qualcosa che non va? – domandò Artemiya. Indagò nelle sue pupille. Cos'era quella luce?

- No, no – s'affrettò a rispondere Paola, - è tutto a posto.

Si portò una mano al ventre, quando riconobbe Luana seduta nel letto, splendente di gioia con gli occhi riposati di colei che ha rivisto la libertà dopo troppo tempo.

- Mamma...- disse Enrico baciandole le fronte, - ti ricordi di Paola e di Salvatore?

Luana li guardò uno per uno dopo aver fatto segno ad un'affaticata Artemiya di sedersi sulla sponda del letto – un gesto perentorio, come da mamma preoccupata.

- Ma certo che li ricordo – disse, - Come sei cresciuto, Salvatore. Sei un uomo ormai...

Lui sorrise, imbarazzato. Luana lo conosceva da decenni, avrebbe dovuto aspettarselo.

- Ebbene, Enrico, perché questa riunione? – domandò Luana voltandosi verso il figlio.

- Io...vi devo dire una cosa – annunciò il giovane. Si grattò la testa, guardò prima Paola, poi Salvatore, poi Elisa, poi il maglione marrone che la futura madre indossava, là, poco sopra la cinta.

- Ho...io e Paola aspettiamo un bambino – disse tutto d'un fiato.

Luana aprì la bocca. I suoi occhi si svuotarono per un secondo, la mano scattò al cuore, spaventando tutti. Poi richiuse la bocca e sospirò.

Elisa fissò il fratello, meravigliata. Fissò Paola, stupita. E strinse istintivamente la mano che Artemiya le porgeva, il viso trasfigurato dalla sorpresa.

- Oh....oh – mormorò Luana. – Che...bello. Io...nonna?

Si guardò attorno, contornata dagli sguardi delle cinque persone nella stanza.

- Beh, che ne dite? – si girò a guardare la figlia, - lo sapevi, tu?

- N-no – rispose Elisa, - Paola...è quello che vuoi?

Paola annuì. Poi guardò Enrico, e aggiunse: - Ma non voglio obbligarti.

- Paola, ne abbiamo già...- iniziò a dire Enrico, ma la donna l'interruppe.

- No, Enrico, so chi vuoi e so che non sono io – lanciò un'occhiata a Salvatore, alle spalle del giovane Santoro. –È ingiusto che io ti chieda di stargli lontano per mio figlio...

- Stargli? – domandò Luana. Il suo sguardo venne catturato dalle gelide pupille di Salvatore, ora un poco spente.

- Salvatore...perché sei qui? – chiese la donna. – Sei...l'uomo di mio figlio?

Una bambina sta giocando nell'aiuola.

Ha i capelli rossi, lunghi e ondulati, legati sulla nuca dal un lungo nastro di seta color vinaccia. I suoi occhi sono neri, neri come un corvo ferito, seri e teneri come quelli di una bambina già adulta. Il suo abitino è protetto da un lungo cappotto montgomery aperto sulla stoffa pesante della veste.

- Andrea – la chiama una donna, avvolta in un maglione troppo largo, in piedi sull'uscio della casa. Alle sue spalle un'altra donna, appoggiata al suo corpo. La bambina alza la testa, sorride, vede le sue madri e sorride, si rimette in piedi e corre, incontro a quelle quattro braccia femminili che l'accolgono. E le due donne si sorridono.

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