La Quiete Dopo La Tempesta

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Dimmi, fratellino...ti piace il gusto della sconfitta?

Artemiya scosse la testa, per scacciare quelle immagini dai propri pensieri. Eppure era difficile, troppo, quel sangue non poteva essere lavato. Come quello di Eduardo. Come il suo.

Sente il sapore del sangue, Artemiya. È sdraiata a terra, dolorante. La sua schiena ha battuto violentemente contro il selciato, come se il corpo fosse stato abbandonato dalla mano di una bambina stanca di giocare con la stessa bambola bionda, stoffa cucita e ceci a riempirne l'organismo. Accanto a lei, una presenza. Una mano femminile, piccola e calda, appiccicosa di una sostanza indefinita. Ed i suoi occhi si aprono, sbarrati, al ricordo. E le sue mani corrono al corpo di Elisa, abbandonata sulle sue gambe.

Sdraiata nel suo letto, Artemiya non riusciva a fare altro che stringere a sé Elisa, addormentata al suo fianco. I medici volevano spiegazioni, Elisa non le aveva fornite. Non aveva incolpato il fratello, non aveva denunciato l'aggressione. Era rimasta sorridente sotto le mani professionali delle infermiere, come in sogno. Ed ora dormiva placida tra le braccia di Artemiya, una perla di quiete al cui interno vorticava un uragano.

Passi. Passi che fecero sussultare Artemiya, ma che il suo orecchio assoluto identificò subito come leggeri e gentili.

Agnese si affacciò alla porta, gettando un'occhiata alla stanza. Individuò gli occhi smeraldini di Mia e sorrise.

Era un tripudio di freschezza, Agnese, anche se con Elisa pareva non andare troppo d'accordo. Eppure, il suo istinto da crocerossina l'aveva spinta alla sua porta, con una borsa piena di the bianco e cioccolata; il cappotto firmato e i lunghi capelli castani spettinati come in studiata contrapposizione.

Artemiya le fece segno: spostò dolcemente il peso caldo di Elisa sul cuscino ed uscì dalle coperte, rimboccandole alla donna addormentata, poi uscì dalla stanza a passetti felpati e chiuse la porta con attenzione.

«Agnese, grazie, davvero» disse, sforzandosi di sorridere all'amica. Lei le prese la mano: «Guarda che con me non devi fingere di essere felice, cara.».

Artemiya, commossa, baciò Agnese sulla fronte.

«Ha chiamato Marco.» l'informò lei, passandole un braccio attorno alle spalle e conducendola in cucina, «Sarà qui a momenti.»

«Non doveva disturbarsi» sospirò Artemiya, «e nemmeno tu.».

Agnese non rispose e la fece sedere al tavolo. Le presentò una tazza di the fumante e si sedette dirimpetto a lei, con una tazza gemella.

Il the è un rituale per Melan'ya e Vania. Artemiya si mette sempre sotto il loro tavolo quando preparano il the: osserva i loro gesti, come quelli di adepti di una setta segreta nei loro rituali. Artemiya ama l'odore del loro the, la fa sentire protetta, come avvolta in una nuvola di vapore odoroso. Guardandoli, pensa spesso ai suoi genitori: se solo quella caldaia non fosse scoppiata, anche loro sarebbero così, adesso? Anche loro farebbero il the assieme, con gesti misurati e modellati da anni passati assieme?

«Che c'è, Artemiya?».

Mia alza gli occhi dalla tazza, trovando lo sguardo ambrato di Agnese. Sorride.

«Niente, niente. Pensavo alla Russia.».

Agnese annuì. Era abituata ai momenti cupi in cui Mia si lasciava rapire dai ricordi...

Le due ragazze furono raggiunte da un suono basso: qualcuno bussava alla porta. Agnese si alzò e andò ad aprire, lasciando Mia con le spalle basse.

Li sentì scambiare poche parole: poi Marco fece la sua entrata in cucina, splendente con i suoi capelli bagnati.

«Mia.» chiamò inginocchiandosi dinanzi a lei.

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