Profumo evanescente

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Gli occhi marroni di Elisa si persero, per un istante, nell'osservare Artemiya. La cornice, prima leggera nella sua mano, d'un tratto diventò pesante. E la testa fulminò, con il fragore di mille campanelli di cristallo.

Le mani corsero alla testa, e la foto atterrò leggera sul lenzuolo. Un mugugno di protesta uscì dalle sue labbra, mentre pochi suoni di tacco e mani tremanti stringevano le sue spalle.

Fa male.

Troppo male.

Perché il dolore... non se ne va?

Perché... nella mente ho un profumo... che non ricordo?

Portò una mano al braccio contornato di rosso stringendolo, i lampi che aumentavano d'intensità. Il dolore che diventa troppo, da trattenere nella gola.

Iniziò ad urlare, richiamando l'attenzione delle infermiere. Poi, un lieve sollievo.

... e il volto di Artemiya avvolto dalle lacrime.

Cosa sono i sogni se non... un discorso senza senso?

Come possono immagini spezzate mai viste, né pensate... entrarti nella testa?

Un discorso inventato dall'anima stessa.

Tormentato, se essa è dilaniata da un dubbio.

Tranquillo, se l'anima tace.

Doloroso, se essa soffre.

...

E i miei sogni, tormentati e dolorosi, tentano di... dirmi qualcosa.

Non un parlare frenetico senza capo né coda ma...

... tenta di riportare alla mia spiaggia il mio passato.

Il mio essere.

Me. Elisa.

Gli occhi si aprirono su quel sipario di vita. Al buio.

Tentò di rialzarsi un poco, la gola secca. Alzando di un poco la testa, l'impressione di una gelatina al posto della testa non la sopraggiunse. E si meravigliò, sorridendo un poco.  Un mugugno, sommesso, solo sussurrato, fermò il suo movimento. Gli occhi che, lentamente, prendevano e stracciavano il tessuto di oscurità. Una figura avvinghiata al suo fianco, che prima non aveva visto, né percepito.

Artemiya, stretta a lei, dormiva un sonno agitato. Le mani che stringevano con forza le lenzuola. La mano portata alla sua guancia la percepì umida. Aveva pianto.

E il cuore, quel pezzo di specchio incastonato d'anima, s'incrinò.

«Sssh...» fece, un ricordo che le balenò tranquillo nella mente.

«E l'è stà'l vento... che l'arbaltà la cana... Elisa, fa la nana... che il babbo l'è andà a durmir...» una litania, cantata in un dialetto grezzo, l'accompagnava nel mondo onirico.

«Sssh... dormi, Elisa... dormi...» una voce calda le riscaldò l'anima, l'ultimo battito d'ali, prima del tramonto dei suoi occhi.

... Mamma?

Eppure non assomigliava alla donna che ora le dormiva affianco. Non aveva corti capelli castani, né occhi caldi come la cioccolata d'inverno. Un lieve filo di malinconia avvolse il suo cuore.

Il volto della bionda, al suono della voce di Elisa, lievemente s'acquietò. La presa ferrea sulle lenzuola andò scemando. Le labbra, prima tese, mordendosi l'una con l'altra, ora erano rilassate. Dolci, nel loro rossore naturale.

Con le dita le sfiorò, sentendole morbide. Calde.

Desiderate.

Scosse la testa mentre, di nuovo, un pensiero – un desiderio? – scomodo le prendeva la mente. La mano che sfiorava il suo volto, così levigato e dolce. Così magica, addormentata.

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