Cigno Ferito

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E allora giù,

tra stracci e amore

dov'è lusso la fortuna

c'è bisogno della luna...

L.Bertè- E la Luna bussò

L'ospedale cadeva a pezzi.

Artemiya aveva dimenticato quella caratteristica tutt'italiana. Stava seduta su una scomoda poltroncina nella sala d'attesa e, curiosamente, attendeva.

Ho visto il dolore nei tuoi occhi-

Bambina, perché non mi hai mai detto?

Ho visto la paura nelle tue lacrime-

Bambina, quanto hai sofferto?

.....

Il viso della degente è segnato.

Elisa non aveva dimenticato i tratti di sua madre. Stava abbandonata sulla sponda del suo letto e osservava con un lieve sorriso dolce il suo volto. Sulle gote, le lacrime si erano seccate.

L'incontro col padre, l'intervento di Enrico, il petto caldo di Mia- tutto, tutto si era annullato nell'atmosfera funerea di quella stanza. Il bip-bip dei macchinari parevano sovrastare ogni suono. Ogni respiro, ogni carezza. Pelle.

Come profuma la tua pelle, mamma.

Ricordo che da bambina ti sentivo girare il caffè col cucchiaino. E il tuo profumo di arancio si mescolava alla fragranza della bevanda proibita, che noi bambini non potevamo nemmeno assaggiare. Ricordo che mi accarezzavi la testa leggendo il giornale, teneramente attraverso la distrazione dei fogli stampati, gli occhi alle lettere nere ed il cuore al peso del mio mento appoggiato al tuo ginocchio.

Come profuma la tua pelle...

.....

Ernesto Santoro scrutò la donna bionda seduta in sala d'attesa. A vederla così, da fuori, non sembrava. Non sembrava una puttana di merda, una lesbica amica di sua figlia. Figlia. No, lui non aveva figli. Aveva appena perduto l'ultimo.

Artemiya, da sotto i ciuffi biondastri, lo vedeva. Lo sentiva. Sentiva la presenza massiccia del torturatore della sua sposa, sentiva le note rabbiose del suo essere di animale...ferito? Svuotato di ogni umanità, di ogni sentimento...anche quell'uomo era un sommerso?

- Il Signor Santoro- squittì la ragazza. L'uomo era a pochi passi da lei. Alzò un poco il viso, cercando di farsi coraggio. Maledetto istinto di sopravvivenza...

- E tu chi sei? – chiese duramente Santoro.

Artemiya, uno sforzo colossale, si alzò. Ritta come un fuso, stilla di cristallo contro un blocco di granito shivakashi, si alzò, scostò la frangetta ad un lato del viso e lanciò un'occhiata di sfida all'uomo.

- La Signora Sokolova – disse aridamente, - è autorizzato a darmi del lei – soggiunse con ironia.

Una vena sulla tempia di Ernesto Santoro pulsò. Il suo viso si contrasse, ma si sforzò di rimanere calmo. Calmo. Perché?

- Che cosa è? – ringhiò, per non farsi sentire da un'infermiera ferma lì vicino a leggere un plico di foglio stampati. – Che cose è per la figlia di mia moglie?

La figlia...di sua moglie?

- Lei...è davvero così insensibile da ripudiare una figlia? – mormorò Artemiya.

- Che cosa importa a lei, ben vestita e ben pasciuta, cosa ne sa delle famiglie che lavorano sul serio? – ribatté lui, - Alla faccia di voi ricchi?

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