E fu lì che io...

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-          Capitolo narratoci da Elisa -

Vidi il suo corpo cadere. Mentre Ernesto lentamente si allontanava, ritornato improvvisamente lucido. E con la lucidità in corpo, sparò l'ennesimo colpo. L'ultimo. Vedendomi Artemiya in braccio, sanguinante. Mio padre morì poco più in là, con la testa bucata. Sentii una pioggia prendermi, formate da scaglie di dolore acuminate e disperazione. Non percepii neanche Paola urlare e scappare fuori per chiedere aiuto.

I miei occhi intrappolati in quella verde trappola mentre perdeva copiosamente sangue dal fianco destro.

E sentii la vita strapparmi via tutto.

Amore, famiglia.

Provai la sensazione piena del nulla.

E faceva male.

Vidi un sorriso smorto sul suo viso candido, mentre lentamente gli occhi si chiudevano, vuoti di linfa. Gli alberi si son spenti, la Natura è morta.

Mi aggrappai strenuamente alla morte.

Chiedendole di barattare la mia vita con la sua.

«Prendi me.» invocai con lacrime calde.

Stringevo il suo corpo con forza, quasi potessi tenerla vicino a me.

Ma la vita è l'unica cosa che non si può barattare.

«ti prego...» supplicai con già la sensazione della morte vivente nel cuore.

«... tutto, ma non lei.» e il mio spirito morì lì.

Lasciando il mio corpo, incatenato a quello che ora era tra la vita e la morte.

Strappandomi con dolore il cuore dal petto e stringerlo forte.

E fu lì che io, in me, non sentii altro.

Non sentii nient'altro. Non percepivo più il cuore e la realtà. Quasi stessi vedendo le vicende svolgersi fuori dal mio corpo. Notandomi completamente abbandonata. Con l'obbligo inconscio di respirare e di vivere.

Con gli occhi spenti. E con l'anima che lentamente scivolava via nelle lacrime calde sulle guance.

•†††•

Mi trasportarono, il suono della sirena che era accorsa subito, visto che l'ospedale era vicino. Il cadavere dell'uomo venne trasportato direttamente in obitorio. Lei, invece, venne trasportata velocemente al pronto soccorso. Fu Paola a portarmi, a farmi salire le scale, ad entrare nella sala d'attesa. Mi guardava preoccupata, ma non ricercava la mia vista. Sapeva che il mio occhio non le avrebbe dato quello che voleva. Erano spenti. Paragonati a me, gli occhi di un cieco sarebbero stati più accesi di vita. I miei, per quanto vedessero chiaramente l'ambiente intorno a me, non volevano vedere.

E nella mente sentii come una pallina di liquido caldo lentamente sciogliersi e spargersi per tutto il corpo. I miei occhi ne vennero ricoperti, la mia bocca si riempì di essa.

Da quel momento i miei occhi videro solo il buio, e la mia voce si perse nei meandri del mio corpo.

Gli occhi miei non si erano staccati da quelli verdi. E senza di essi, sarebbe un insulto vedere la luce.

Perciò perderò la vista. Non vedrò più. Almeno finché la mia Natura non rifiorirà di vita verde.

La mia voce non avrebbe pronunciato altra parola, se non il suo idilliaco nome.

Perciò perderò la voce. Non parlerò più. Almeno finché la mia Dea non suonerà di nuovo la sua melodia.

Nel silenzio della mia cecità parziale, ascoltai. Sentii il silenzio della mia anima rimbombarmi e spegnermi. Percepii il tocco delicato dell'amica sfiorarmi lentamente. Non capisco perché lo faccia.

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