Rosso e bianco velluto d'amore

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[Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità,

succhiando tutto il midollo della vita.

Per sbaragliare tutto ciò che non era vita

e per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

L'attimo fuggente]

L'odore di pino fresco misto alla vaniglia inondò le due ragazze sulla soglia, e la luce del lampadario in cristallo illuminano l'interno del piccolo chalet. Agli occhi verde natura della bionda si mostrò un mondo sempre sognato. Un insieme di piccoli dettagli e meri ricordi che, uniti tutti nella medesima stanza, creavano nel suo cuore già palpitante armonia e dolcezza.

«Benvenuta, amore mio, nel mio nido d'infanzia.» rispose la mora, portandola senza fatica all'interno della casa. Artemiya, rimasta ancora con gli occhi intrappolati nell'atmosfera così calorosa della casa, nemmeno s'accorse di esser ritornata sui propri piedi, lasciata scivolare dalle braccia amorevoli della consorte.

Le colline smeraldine incastonate negli occhi stupiti della giovine dai capelli color dell'oro carezzavano con flebile respiro le coperte di lana poggiate sul divano in tessuto nero, che lo divideva dal sommo camino solo un enorme tappeto di pelliccia. Eleganti poltrone stavano ai suoi lati, come paggi intorno al re. Nel muro opposto un piccolo rientro che conteneva una scrivania moderna affiancata ad una vecchia biblioteca del 1800, contenente libri forse datati tanto quanto il loro contenitore. Il parquet era di quercia, morbido e silenzioso sotto i passi felpati della donna, mentre avanzava alla scoperta di nuovi aspetti dentro quella casa. Una piccola scala sorgeva dietro la grande biblioteca, portando ad un misterioso piano di sopra.

Elisa l'aveva osservata per tutto il tempo. Pregustando la sorpresa e la meraviglia che armonicamente la faccia di Mia mostrava. Sorrise, guardandola camminare, osservandola mentre scrutava persino il pavimento, quasi inconsciamente preoccupata di rompere l'atmosfera che regnava in quella casa disabitata.

L'odore di vaniglia sfilò ancora sotto il naso della mora, facendole balenare nella mente gioiosi ricordi appannati dalla memoria. Nata in quel luogo, visse per i primi anni della sua vita in quel piccolo chalet per problemi di salute della madre, che risentiva ancora del parto del secondo figlio: Enrico.

Quando il pargolo urlante iniziò a camminare la famiglia si dovette spostare perché il nonno paterno, morto prematuro, lasciò l'impresa di famiglia al figlio più grande. Elisa, con allora già cinque anni, prese il fratellino a manina e uscirono, per l'ultima volta, a giocare con la neve.

La mano di Mia sfiorò un quadro, posto nel piccolo pezzo di muro che divideva le scale dalla cucina. Una foto, a colori sfocati, di una bambina felice in braccio al padre, sorridente. Alla bionda sembrò persino innaturale quella foto, in mente ancora il volto di quell'uomo taurino trasfigurato dalla rabbia mista a pazzia. Inconsciamente passò una mano al ventre. Sussultò leggermente quando le braccia di Elisa le circondarono il collo, stringendola dolcemente.

«Lì avevo quattro anni.» sussurrò, mentre le mani di lei si stringevano dolcemente sui suoi avambracci.

«Sei bellissima.» rispose Artemiya, sorridendo. Quella bambina mezza sdentata e iperattiva ora la stava abbracciando. Quel peluche azzurro sempre stretto a sé, sorridendo spettinata sulla testa del padre. E l'uomo che osservava un'ombra dietro la fotocamera, sorridendo mezzo scocciato, ma felice. Sentì lo sguardo sorpreso della mora su di sé.

«Da quando in qua ti piacciono i bambini?!» chiese, sapendo dell'indifferenza della russa verso i pargoli appena nati.

«Tu sei un'eccezione, amor mio.» rispose ridendo voltandosi, sciogliendo l'abbraccio per continuare la sua ricerca. Il volto del padre sorridente lasciato nel pezzo del grande puzzle del passato, stampato dentro una cornice di freddo legno.

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