Il Vero Dolore

80 5 0
                                    

Elisa vagava per la casa di Artemiya, in tensione. Lo si poteva notare da come si muoveva, agitata, con la mano buona che non sapeva cosa fare. E alla fine andava sempre a finire in bocca a Elisa, con le unghie incessantemente mangiucchiate. Un brutto vizio che non aveva mai perso, eppure sua madre aveva provato di tutto: smalti dal gusto disgustoso, rinforzi in plastica, cerotti. Ma niente impediva alla ragazza di scaricare lo stress mangiucchiandosi fino alle radici le povere unghie, ridotte a monconi. Suo padre, ogni volta che la vedeva con le mani in bocca, le intimava di smetterla con rabbia. E quello le impediva di torturarsi le mani, per paura di uno schiaffo che troppo facilmente raggiungeva il suo capo.

«Non ce la faccio più... adesso la chiamo.» e prendendo per l'ennesima volta il portatile di casa, compose il numeri di lei, imparato ormai a memoria. Ma alla fine il dito si fermava sempre su quello verde, che faceva partire la chiamata.

Sapeva dove era andata. Sapeva cosa stava facendo per lei, anche se aveva voluto far finta di crederle. Sapeva che stava provando a frenare il compito di suo fratello.

La paura. La paura fermava la mia mano. La paura di sentire la voce di lui.

Paura. Paura del passato. Del presente. Di quello che stava accadendo e di quello che potrebbe accadere.

Paura di perderla. Paura delle reazioni che poteva avere suo fratello.

Paura. Paura della famiglia.

Ma è normale, avere paura persino del proprio fratello?

«Io non avrò mai paura di te!» urlò. Un altro urlo, un'altra promessa a se stessa che non avrebbe mantenuto. Uno schiaffo la portò a terra.

« Hai paura. Lo sento.» la sua voce, che incuteva talmente tanta paura in lei da farla tremare.

«No... no...» mormorava tra le lacrime e tra i singhiozzi che la prendevano. Di nuovo. Stava accadendo di nuovo.

«E invece sì. Tu puzzi di paura.» e la stanza la inghiottì, prendendola e strozzandola sul pavimento. Il dolore fisico della sofferenza dell'anima. Sentì i suoi passi e la sua mano sollevarla. I suoi lunghi capelli gli offrirono un modo per sollevarle la testa, in modo rude.

«Potrai... farmi tutto... rompere il mio spirito... spezzarmi tutte le ossa...» la sua voce, da quando in qua aveva questo coraggio di parlare così a lui?

«... ma per quanto tu potrai infliggermi dolore fisico... non spezzerai mai... la mia determinazione.» e i suoi occhi scuri, così simili a quelli della madre, pieni del vigore dei suoi anni. Pieni di dolore. Pieni di forza, data dalla sofferenza.

Gli spiriti più forti sono coloro che hanno più cicatrici, disse una volta un uomo.

Pieni di vita, incontrarono quelli verdi del padre. Verde spento, verde morto, verde oscuro. Un verde che aveva sempre odiato, occhi che incutevano paura al solo guardarli. Occhi che infliggevano paura. Verdi. Verdi come i campi morti nelle lagune.

Poi solo dolore. E sangue.

Ricordi. Dannati ricordi lontani, offuscati dal dolore e dalla rabbia. Offuscati dal pianto.

Tu-tu.

Non voleva altri ricordi del genere. Non voleva che quei ricordi toccassero Artemiya. Non dovevano plasmarla, offuscarla, spegnerla.

Tu-tu.

L'attesa snerva. E proprio quando cerchi una persona, quando hai bisogno di lei più dell'ossigeno nell'aria...

L'operatore al momento non è disponibile. Richiami più tardi.

... non la trovi mai.

Quelle parole misero una fredda calma in Elisa. Con velocità afferrò il suo giubbotto in pelle, appoggiandoselo alle spalle.

La vita sulla pelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora