-un capitolo narratoci da Artemiya-
Nostra madre...un incidente automobilistico...ospedale...coma...
Com'è fredda, Elisa. Guida senza espressione, i suoi stupendi occhi castani sono parati dalla mia vista dalle lenti scure. Ogni tanto, le sue labbra esangui scattano, stringendosi tra loro con urgenza, come per impedire un che un urlo fuoriesca dalla gola. Sono preoccupata.
È così bella, la mia Elisa. È una rosa caduta tra i rovi, un allodola intrappolata nella tela di una tarantola. Vorrei accarezzarla, dirle qualcosa di sincero, di caldo, ma non posso. So come può sentirsi, ci sono passata anche io. Anni fa...troppi, eppure...il dolore scotta ancora la carne viva del mio cuore...
Nostra madre...un incidente automobilistico...ospedale...coma...
Madre...incidente...ospedale...
- Non piangere, Artemiyka. La mamma sta bene ora, capito? Non vuole vederti piangere...
- Elisa? – chiamo debolmente, impaurita. Ho paura di una sua reazione...ho paura di spezzarla con il suono della mia voce.
Lei si volta piano, mi guarda oltre le lenti, getta ancora un'occhiata alla strada. Cosa vuoi ancora da me, Artemiya? Cosa pretendi ancora dal mio dolore?
No, sono le parole sbagliate. La mia anima non mi rivolgerebbe mai frasi simili.
Cosa c'è, Artemiya? Hai per caso da illustrarmi il perché del mondo? Io...non riesco a comprenderlo...
- Elisa...come stai?- chiedo. Me ne pento subito. Che domanda stupida.
- Artemiya...come stai, piccola?
- Male, male, male! Che razza di domanda è? Mio padre è morto, mia madre è morta, STO MALE, non è ovvio?
- Bene – risponde lei meccanicamente. Vorrei abbracciarla. Vorrei stringerla al mio seno e non farla andare via mai più, sino a togliere il respiro ad entrambe. Vorrei farlo,non lo faccio. La osservo ancora un poco con occhio critico, poi mi volto verso il finestrino.
Alla radio stanno trasmettendo una nuova canzone commerciale. Non la conosco: non il titolo, non il testo, non l'autore. Mi da una sensazione di vuoto, come se tutte le sensazioni che la musica dovrebbe dare si siano annullate completamente in quei quattro minuti di rumore. Il paesaggio sfila monotono oltre il vetro perfettamente smacchiato del finestrino: macchia di colore, altra macchia di colore. Macchia indistinta. Altra macchia di colore.
Abbiamo lasciato Roma da poco e già sento il profumo del profondo sud che si avvicina. Elisa fa ruggire il motore, lo sento potente davanti alle mie ginocchia, fasciate di velluto a coste bianco. È stata una partenza rapida, senza fronzoli. Un sacco sportivo ed una valigia pieni di abiti, le giacche in un angolo piegate e la borsa del mio portatile. Un saluto agli amici tramite cellulare, un saluto a Roma e via.
Ciao a tutti da Maicol e Serena e benvenuti al nostro programma radiofonico delle nove e quarantacinque minuti! Siamo in compagnia di...
La speaker ha una voce antipatica. Dev' essere una di quelle bionde tinte con gli occhioni azzurri e il naso da topo, un brutto Gas Gas ancor più snervante. E questi pensieri non sono da me, devo essere davvero a pezzi...
Una mano mi sale al viso, con le dita stringo il setto nasale delicatamente. È un gesto che ho ereditato da mio padre. Elisa se ne accorge e, senza voltarsi a guardarmi, m'interroga:
- Che hai?
La sua voce è dura, ma segretamente preoccupata. Vuole sapere cos'ho.
- Niente, niente. Pensieri – rispondo evasiva, tornando a guardare l'orizzonte celeste al di là del guard-rail. Elisa si accontenta e torna al mutismo.
STAI LEGGENDO
La vita sulla pelle
RomanceElisa e Artemiya, la loro storia, l'amore e la vita, perché il tempo di gioire è sempre sfuggente.