"Il mistero dell'amore
è più grande del mistero della morte"
Oscar Wilde
Era un gatto enorme, nero e spelacchiato.
Ogni giorno, alle cinque in punto, si sedeva sul muretto a secco accanto al fiume e, con l'unico occhio giallo spalancato nel vento, osservava.
Artemiya lo studiava incuriosita dalla finestra, seduta a gambe incrociate sulla panca imbottita. Di solito abbassava la sua lettura – Saint-Exupery un giorno, Voltaire un altro – e prendeva a studiare il movimento affaticato con cui il vecchio gatto si sedeva, e, con un ultima frustata stanca di coda, si preparava alla sua ora immobile nella contemplazione dell'universo.
Artemiyka, dentro, si sentiva come quel gatto. E lo chiamava Кошка философ, Gatto Filosofo.
- Elisa...- gemette Artemiya.
Le mani della giovane erano voraci, veloci e calde. E la facevano impazzire.
Elisa la teneva in braccio, perfetto equilibrio al centro del letto, impegnata nella danza erotica dei sensi, beandosi intimamente del calore che la femminilità della russa le donava, ora, su quel morbido covo dove le coperte erano state gettate, riverse sul pavimento come stracci.
Artemiya si aggrappò alle spalle bianche della compagna, sussultando. Spinse il bacino ad aderire a quello di lei, pretendendo di più, un di più che le venne dato e che le si aggrappò alla spina dorsale come un felino.
- Elisa...gattina...- sussurrò, spingendo giù quel groppo che le si era formato in gola, attendendo di ricevere le labbra della compagna sulle sue.
- Mia...ti amo – ansimò Elisa prima di baciarla profondamente.
L'orgasmo, oltre i confini di mente e corpo, cresceva. E presto arrivò, trovando le due amanti strette, carne nella carne in un tripudio di dolcezza, e la loro intrinseca femminilità unita su quel letto candido, nuovamente loro, nuovamente caldo.
Elisa si lasciò cadere all'indietro, portando con se il corpo abbandonato di Artemiya. Ella si sistemò sul morbido seno della compagna, trovando giaciglio, e alzata la testolina bionda cenere sorrise, soddisfatta:
- Ti amo anche io, gattina .
Elisa rise piano, sospirando. Con un braccio circondò le spalle di Mia, crogiolandosi nel calore che quel dolce peso donava.
- Sai, potrei fare le fusa ogni volta che me lo dici – disse, chiudendo gli occhi alla luce.
Artemiya le baciò la gola, indugiandovi con la lingua per un inconsistente secondo di lussuria, poi le prese una mano, abbandonata sulla curva aggraziata dei fianchi, e vi appose un bacio.
- Mmm- mormorò Elisa, le labbra arcuate in un sorrisetto malizioso e gli occhi ancora chiusi.
Artemiya mordicchiò la sua pelle, salata d'amore, aspettandosi una certa reazione, che venne senza farsi pregare.
Elisa, con un gesto veloce e senza dare il tempo alla compagna di capire come, rivoltò il corpo di lei sul materasso, ritrovandosi a sovrastarla, i capelli bruni un po' lunghi attorno al viso.
- Principessa, non lo fare – gracchiò piccata, chinandosi a baciare le labbra rosse di Artemiya.
- Sai – mormorò lei tra un bacio e l'altro, - stai...bene con...i cap...elli un po' lunghi...-
- Non cambiare discorso, - ridacchiò Elisa. La mano di Mia sulla base della schiena pareva incandescente, - tanto sai che li taglierò di nuovo...
- Sicura sicura? – domandò Artemiya arrotondando la voce. Accarezzò la coscia della compagna, solleticandola, - vuoi dire che non cederesti per questo faccino?
S'imbronciò teneramente, strappando a Elisa un sorrisino addolcito. Con un bacio, la mora la avvolse in un abbraccio.
- No, hai ragione – rispose, - tu da me avrai sempre tutto.
- Sono io quella che ti deve tutto, amore – sussurrò Artemiya.
- Tu mi hai accesa, Artemiya. Mi hai ridato la vita – gli occhi di Elisa, ora, bruciavano. Ma non di passione sessuale, non di voglia: bensì di un amore che si tradusse immediatamente in un bacio sulla fronte della compagna.
- Elisa...posso farti una domanda? – chiese Artemiya, accarezzando il fianco perlaceo della donna.
- Dimmi, amore...- sussurrò Elisa.
Artemiya si mosse, allungando un braccio oltre il plico di fogli sul comodino, verso un portagioie in madreperla da cui mancavano un paio di conchiglie decorative.
Prese un piccolo astuccio blu, morbido di velluto all'esterno, e si sistemò dritta, davanti ad Elisa, che osservava sconcertata lo scrigno come fosse stato un drago in miniatura.
- Per tutta la vita – disse, - come una mina di matita, ho disegnato solo matrimoni modesti tra fiori e rugiada alla brezza del mattino, con un uomo al fianco e tanta di quella felicità che ci vendono in pillole per far sembrare l'omosessualità crimine e delitto. E sono stata bene, fintamente convinta di non desiderare altro, inglobata in quella sfera di suggestione di massa – alzò gli occhi, smeraldini e seri, sul viso di Elisa, - ebbene, ora so che non è quello che desidero. Io desidero te, Elisa, e te sola. Perché da quando ci sei, il cielo si è oscurato, e la mia vita è completata dalla tua essenza -
Elisa fissava imbambolata la compagna, senza dar segno di vita se non un lieve movimento del petto.
- In questo paese non avremo pace, forse, ma non è quello ciò di cui abbiamo bisogno. Non saremo nemmeno una coppia riconosciuta, ma se accetterai questo mio dono, sarà come se si fosse svolto il matrimonio più bello della storia mondiale nel giro di dieci secondi...-
Artemiya prese fiato, e aprì l'astuccio.
C'era una piccola stella, dentro. Un anellino in oro bianco, fine e discreto, illuminato da un diamante. Elisa emise un verso a metà tra una risata ed un sospiro, e sorrise.
Mia le prese la mano sinistra.
- Elisa...- mormorò, arrossendo, - mi vuoi sposare?
La donna fece un'adorabile smorfia.
- Ehm...- disse, - Artemiya...io...
- Mi basta un "no" – l'interruppe Artemiya, seria, - e capirò.
Elisa scosse la testa con vigore, e si allungò a baciarla.
- Sì – rispose decisa, - sì, sì, sì, amore mio...
Artemiya abbassò la testa.
- Non l'avevo previsto – ridacchiò nervosa. Con un gesto fluido, le mise l'anello al dito.
- E ci dichiaro...moglie e moglie?- disse dubbiosa.
Elisa ci pensò su un attimo.
- Boh. Ma non m'importa, amore – rispose, - mi basti tu.
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La vita sulla pelle
RomanceElisa e Artemiya, la loro storia, l'amore e la vita, perché il tempo di gioire è sempre sfuggente.