Pattini d'Argento

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- Artemiya...vieni dentro, fa freddo!

Inga che si sporge sull'uscio, la figura stretta in un ampio scialle. La mattina russa affila ancora le lame, fa stridere i fiocchi di neve sotto le suole. I bambini sembrano coriandoli colorati lanciati all'inseguimento della trottola, le vesti lacere e povere, le pellicce bagnate e schiacciate, i pattini ben stretti dai nastri.

Artemiya disegna ampi cerchi sul lago ghiacciato. Le lame aguzze scivolano nella lastra non più vergine con tenui rantoli. I capelli biondi della bambina scappano veloci dalle grinfie del cappello.

- Artemiya!! – chiama ancora la Zia, e la bambina si ferma, zampetta sino alla terra gelata e si sfila i pattini, infilando i piedi in grandi anfibi smangiati. Va verso casa trascinandosi dietro i pattini, che lasciano nella neve ricordi di battaglie.

- Tu non sai ancora un segreto – disse Artemiya aprendo l'armadio.

Elisa sedette sul letto pesantemente, rimbalzando un poco per l'effetto delle molle.

- Sei piena di misteri...- sorrise, - che segreto?

Artemiya si era messa in ginocchio, dalla vita in su il suo corpo era sparito nelle fauci del mobile. Stava cercando qualcosa tra le cianfrusaglie che teneva sul piano, scatole piene di ritagli di giornale, spazzole rotte, agende. Rifiuti di una vita che, a costo di pulire ogni due giorni, Mia teneva stretti da tempo.

- Eccoli! – esclamò trionfante la donna, uscendo dall'armadio, in mano un sacchetto di stoffa in giallo grassoso, stampata di vecchie scritte russe che parevano solo vaghe ombre marroni lungo la via.

Si tirò su un poco la gonna a ruota, modello anni '60, e si mise a gambe incrociate sul pavimento. Dal sacchetto, trasse un paio di pattini.

- Un ultimo segreto – disse Mia, gli occhi che brillavano, - l'ultima bambola di una bambina -

Elisa la guardò. Il suo viso commosso sorrideva ai ricordi che erano spuntati assieme ai pattini, ricordi che profumavano di biscotti appena sforzati e fredde dita di vento sul viso. Era così bella...

Si inginocchiò al suo fianco, carezzandole una gota rosata dall'emozione. Le strappò un lieve bacio a fior di labbra, cogliendo il suo respiro.

- Sei pronta a indossarli di nuovo? – sussurrò.

Mia annuì. Una mano scivolò leggiadra sulla pelle morbida dei pattini, pelle bianca rimasta immacolata dai tanti anni di ricovero. I nastri che passavano per gli occhielli erano di un scolorito color glicine.

- Oh, quante culate mi son presa con questi – rise, - tu non immagini.

Si voltò a guardare il viso della compagna, che la studiava incantata.

- Grazie – disse piano. Le accarezzò una guancia, indugiando sulla sua pelle. Pelle delicata e serica, calda e accogliente. Pelle che sapeva di dolcezza come quella dei pattini, ma che al contrario di loro bruciava di presente. E avvenire.

- E di cosa? – chiese Elisa.

- Di darmi la possibilità di tornare per un giorno nella mia infanzia – sorrise Mia abbracciandola. Respirando il suo profumo, che sapeva inevitabilmente di casa.

Attorno alla pista c'era una folla ben nutrita. Grandi e piccoli guardavano le magiche piroette dei visitatori, le movenze graziose di coloro che col ghiaccio già dialogavano. Alcune persone erano impegnate in dolorose risalite, e attorno a loro si formavano campanelli di conoscenti ridacchianti e volenterosi. Molti bambini erano attaccati alle ringhiere, terrorizzati dal scivoloso strato bianco sotto di loro.

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