Cacciatori di Bolle di Sapone

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Sono abiti leggiadri, quelli delle fate – perché, perché non ho mai appreso?

Sono ottant'otto tasti. Bianco e nero, nero e bianco. Sempre. Non cadono mai, loro. Solo, hanno l'immenso potere di gettarti nel fango e, subito dopo, di donarti cascate di smeraldi. Come una bambola di pezza, come una bambola.

Come si può smettere di essere una bambola?

Elisa, questa volta, aveva deciso di smettere i panni del corteggiatore misterioso –corteggiatore che, appena arrivata a casa, Artemiya aveva assalito con famelica bramosia. Era in jeans e giacca di pelle, quella sera, una statua moderna di bellezza e serietà. L'anima da esteta di Artemiya si sentiva particolarmente fiera.

La pianista, a suo modo, era sicura. I suoi occhi splendevano di una luce particolarmente saggia, ma allo stesso tempo trasudavano scaglie di determinazione, come un vecchio cane che si prepari a salvare per l'ultima volta la vita del suo padrone.

Era a suo agio, tra la piccola folla da cabaret radunata nella piccola Sala Rossa: gelida e scostante, si teneva al confine tra il suo mondo e quello dell'élite musicale romana con graziosa tempra. Come pugili professionisti, lei e Vagnet attendevano l'inizio dell'ultimo round agli apogei del vano, appoggiati al muro con le spalle e circondati dai fedelissimi, che stemperavano da entrambe le parti l'ansia con discorsi attutiti.

La Sala Rossa era una delle più belle del Palazzo. Le pareti, ricoperte da carta da parati in tessuto cremisi, davano alloggio a dipinti in stile impressionista dalle maestose cornici laccate in oro. Drappi in velluto rosso calavano ovunque, sorretti ai lati da robusti cordoni dorati; sopra un palchetto, anch'esso contornato da pesanti sipari sanguigni, vi era un pianoforte nero e lucido.

Miss Merceaux era già seduta in prima fila. Osservava arcigna l'orizzonte parlando con una donnina minuta con profonde occhiaie seduta accanto a lei. "Le ho già viste queste cose", aveva commentato l'anziana francese alla notizia della sfida, "il peggior surrogato di Broadway mai esistito nella storia europea".

«Artemiya.» chiamò dolcemente Elisa, appoggiando una mano sul gomito della ragazza.

«Sì?» fece lei guardandola. Sorrise istintivamente.

«Qualsiasi cosa accada» disse Elisa avvicinandosi, ­«sei la mia regina.».

Artemiya avvolse il corpo della sua donna con le braccia, osservandone ancora un poco lo sguardo oltre le lenti scure che non si era ancora tolta: poi posò le labbra rosee sulla sua bocca, baciandola piano. Elisa strinse dolcemente la sua vita, mentre alcune paia d'occhi le spiavano stizzite da lontano, e si allontanò lentamente per godere appieno della vista del suo visetto affilato. I ciuffi biondi contornavano con elegante casualità la forma ovale del suo volto pallido, accarezzando oltre la nuca il bordo candido del colletto della camicia. Gli occhi intensamente verdi luccicavano di amore e aspettativa, perle inalterabili di silenziosa agonia stilistica. Le delicate mani fresche stringevano le loro gemelle con abbandonata tenerezza, pronte ormai per dare l'ultimo arrivederci alla vita sognata in una notte di bambina.


Artemiya è sdraiata tra le lenzuola, un braccio piegato e una mano a sorreggere la testa, il corpo nudo in balia delle carezze della compagna ma la mente indicibilmente altrove, perduta nei flutti di un ricordo importante e decisivo.

«Se tra tre giorni perdessi...» dicono le sue labbra rosse di baci, «se accadesse sul serio, dirò addio alla musica. Pago pegno, me ne vado. Almeno saprò di aver combattuto...e la lotta è la moneta che ripaga gli audaci.».

Elisa la osserva seriamente, fermando la mano sul suo addome, raddrizzando lievemente la schiena. La risoluzione di Artemiya lampeggia tutt'attorno, accompagnata da ogni movimento delle sue pupille. Un battito di ciglia, e la giovane donna bionda si sdraia accanto a lei, afferrandole la mano e reclamando le sue attenzioni.

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