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La penna scivolava con lentezza sul bianco tanto candido del foglio incastrato in mezzo al mio sguardo. L'inchiostro, però, non scorreva sulle righe come invece desideravo. Mi guardavo intorno distrattamente, un gesto oramai automatico per me; gli altri bambini correvano spensierati, un ampio sorriso a colorare le loro labbra tanto sottili. Giocavano, ridevano e, di tanto in tanto, si concedevano degli abbracci carichi di affetto, un affetto che ancora non avevo provato. Non sapevo che sensazioni avrebbe suscitato in me, come mi sarei sentita tra le braccia di uno dei miei compagni, con il mento poggiato sulla spalla, gli occhi chiusi e un timido sorriso a prendere posto lungo la forma delle mie labbra. Proprio non lo sapevo, nessuno ancora mi aveva concesso questa possibilità, e più i giorni scorrevano veloci all'interno di questa scuola, più il tempo attorno a me, invece, si muoveva lento e il che per me era terribilmente straziante, e più pareva di avere fra le mani solamente un piccolo sogno irraggiungibile: poter credere di farmi degli amici, un giorno.

"È occupato qui?" domandó una voce tanto esile, così immediatamente alzai gli occhi in quella direzione.

Una bambina dai lunghi capelli rossi era posizionata in piedi dinanzi alla mia figura. Teneva le braccia consorte contro il petto, arricciando il naso ogni tanto probabilmente in attesa di ricevere una risposta da parte mia.

"Dici a me?" chiesi ingenuamente, inarcando le sopracciglia.

Complimenti Eleonora, sei sempre così maledettamente intelligente. Inizierà anche lei a ridere dei miei atteggiamenti strani, della mia costanza nel porre domande tanto palesi quanto stupide al tempo stesso.

"Certo! - lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mostrando un sorriso raggiante. - quindi, posso sedermi vicino a te oppure stai aspettando qualcuno?" biascicó subito dopo, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Sgranai gli occhi, involontariamente. Non potevo credere a tali parole, mi sembrava di vivere all'interno di un sogno dal quale non sarei mai voluta uscire. Questa bambina non stava ridendo di me, né tanto meno del mio comportamento o del mio essere sola, ma bensì sperava di poter condividere il suo tempo assieme a me. Sentii le gote scaldarsi, come se stessero andando a fuoco, gli angoli della bocca allargati in un piccolo accenno di sorriso.

"No figurati, siediti pure." mormorai, battendo il palmo della mano sullo spazio libero alla mia destra.

Così subito dopo si sedette, prendendo un lungo sospiro. Osservai attentamente la sua figura, cercando di non risultare troppo invadente ai suoi occhi. Il suo sguardo trasmetteva una sensazione strana ma piacevole, come se provassi sicurezza nell'avere la sua presenza al mio fianco. Fece scivolare le mani contro le gambe, strofinando i palmi delle mani lungo il tessuto dei suoi pantaloni color caramello. Gli occhi, d'altro canto, erano dipinti da un marrone particolarmente intenso. Essi facevano da contrasto col colore dei suoi capelli e la carnagione chiara della sua pelle, ma il tutto, messo assieme, non stonava affatto.

"Io mi chiamo Eva comunque, piacere." si voltò nella mia direzione, porgendomi la mano successivamente.

All'inizio il mio cervello cominciò a barcollare, poiché per niente abituato ad analizzare una situazione simile a questa. Titubante, allungai comunque la mano verso la sua e, piano piano, la strinsi. Aveva la pelle particolarmente calda, per niente paragonabile al tepore della mia.

"Io sono Eleonora, piacere mio." pronunciai, sorridendo sinceramente.

Eva sorrise a sua volta, ricambiando la stretta contro la mia mano. Non mi sentivo a disagio in questo momento, il che mi fece riflettere su quanto appena accaduto. Mai nessuno si era permesso di avvicinarsi alla mia postazione, mai nessuno ha avuto il coraggio di iniziare una semplice conversazione con me, il che, anche soltanto per un lieve istante, provocò un vuoto all'altezza del mio stomaco. Io li notavo, gli altri bambini, e ad ogni sguardo che mi riservavano ero fermamente convinta di avere un pezzo, dentro di me, che mi rendeva diversa da loro, addirittura strana o buffa. Ma io non mi sentivo così, io non sentivo di appartenere ad una realtà che non era uguale a quella dei bambini che mi circondavano, ma ogni volta che quelle figure minute si bloccavano, ogni volta che i loro sguardi colmi e affamati di curiosità si posavano sulla mia figura, io prontamente mi sentivo fuori posto. Risate, sussurri, occhi intrisi di disprezzo; era solo questo che erano in grado di donarmi. Perché? Nemmeno io ero capace di trovare una risposta ad una domanda come questa, e forse non avrei mai avuto una possibilità per conoscere  tutti quei pensieri che avevano messo da parte soltanto per me.

Soul diesel >> incantava Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora