Capitolo Trentacinque

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16 giugno 1579

La sedia a rotelle spinta da Loura affrontò prontamente il dislivello tra il pavimento del Maglev e il suolo. Una gelida folata di vento la investì, insinuandosi sotto le maniche, la gonna, attraversando le calze, e facendola rabbrividire.

La stazione di Fogad riusciva ad apparire fredda anche quando l'estate era alle porte. Le strutture che costeggiavano i binari erano di ferro nero e massiccio, i vetri scuri, l'asfalto permeato d'olio. Per le strade grigie sfilavano trasporti destinati a raggiungere il fronte Sud, alcuni dei quali erano semplici fuoristrada, mentre altri erano marchingegni mostruosamente grandi.

Le due sorelle attraversavano l'aria intrisa di fumo, coprendosi il naso e la bocca con una manica. Loura si chiese se al termine del loro tragitto la sua divisa sarebbe stata ancora bianca.

Si era travestita da Megert. Il camice da laboratorio era sempre stato in suo possesso, in effetti, ma era la prima volta che lo indossava al di fuori delle lezioni. Se non perché era scritto nel libro del destino che sarebbe riuscita nel suo intento, Loura non avrebbe mai nemmeno tentato qualcosa del genere.

Rozsalia stava seduta composta, immobile, nascondendo la grande borsa in cui aveva infilato tutti gli oggetti che le sarebbero stati necessari durante il suo viaggio tra le pieghe della gonna nera che stava indossando, mettendola dietro la schiena e in parte sedendovisi sopra.

Si sforzava di non guardare in giro – non poteva permetterselo. Doveva fingere di aver ricevuto uno sfregio cerebrale, e di aver quindi perso l'uso delle gambe, e anche la capacità di provare alcune emozioni.

Era raro che uno sfregio cerebrale interessasse una parte specifica del corpo. Loura aveva consigliato a Rozsalia di fare un poco di testa sua, di inventare, di fingere. Era cruciale che Rozsalia imparasse a mentire.

I Djabel non perdevano mai la vera e propria capacità di creare illusioni. Semplicemente, veniva danneggiata molte volte una parte del cervello che occorreva alla concentrazione, fondamentale nella creazione delle illusioni. Se un Djabel avesse continuato a sforzarsi comunque, avrebbe perso ogni capacità, e solo per ultima quella che lo rendeva tale. Avrebbe potuto perdere la vista, l'udito, il tatto, la capacità di parlare, ma solo alla fine si sarebbe fermato il suo cuore.

Così morivano i Djabel, rintanandosi nelle loro stesse illusioni, prendendone la forma, e diventando mostri, smettendo di essere Ember.

Rozsalia allontanò questi pensieri dalla sua mente, e tornò a osservare il paesaggio circostante. La passerella d'asfalto aveva lasciato il posto a un marciapiede, ed esso a sua volta le aveva condotte a un edificio basso e quadrato. Non poteva contenere nulla di che, pensò Rozsalia.

E non avrebbe potuto sbagliarsi di più.

Una volta mostrata fin troppo in fretta una tessera di riconoscimento che Loura aveva sottratto a una sua professoressa, due Orsem Guardia la lasciarono entrare, senza dire una parola.

Rozsalia non ebbe il tempo né il bisogno di vedere i fregi sulle maniche delle loro giacche per mettere assieme i pezzi. Erano i carcerieri. Oltre quella porta, in quell'edificio spartano, vi era Gejta.

La porta si aprì rivelando il portale onirico e la sua luce dorata.

Rozsalia cercò di estraniarsi dal mondo, mentre Loura esponeva a un altro Orsem le ragioni per cui la Djabel sulla sedia a rotelle sarebbe dovuta essere portata a Gejta.

L'Orsem argomentò con ragioni che attrassero l'attenzione della giovane. «Sarebbe meglio limitare il trasferimento dei Djabel, d'ora in avanti.»

Loura mise in scena la sua migliore espressione sorpresa. «Si tratta di una Djabel del Cervo. Alquanto inutile in battaglia, sia ai Tesrat che agli Yksan» argomentò la giovane.

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