Capitolo Cinquantuno

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L'atmosfera si era come alleggerita, dopo quel dialogo. Le ore erano passate comunque in silenzio, ma più rapide. E poteva essere un segno di rilassamento, così come di follia. Né Kerol, né Calud avrebbero saputo dirlo.

Entrambi captarono il suono di passi in avvicinamento, prima ancora che la figura vestita di nero entrasse nel loro campo visivo, ma solo Kerol la riconobbe.

Larenc.

Il suo cuore prese a battere all'impazzata, prima che la sua mente riuscisse a ordinarsi di rimanere fredda e distaccata. Larenc era un traditore. L'Imperatore gliene aveva dato la prova quella stessa mattina.

Ma come poteva fidarsi ancora delle parole dell'Imperatore? Quando le aveva parlato della promozione di Larenc e del fatto che fosse stato lui a denunciarla, il tutto si era rivelato essere una bugia.

E se fosse stato proprio Larenc a mentirle fino a quel momento?

Non riuscì a darsi una risposta, nemmeno quando Larenc raggiunse la sua cella, e si rivolse a Calud.

«Lanes Kerol deve essere riportata all'Accademia» lo sentì dire, a un certo punto.

«A tempo debito, certo» disse Calud, aggrottando le sopracciglia. Solo perché era il figlio di Endris Walturn, questo non dava il diritto a quel ragazzino viziato di trattarlo come una pezza da piedi.

Tolecnal Calud non discendeva da una famiglia illustre – i suoi parenti erano agricoltori a Viszajon, una città fedele all'Impero che si trovava sulla sponda meridionale del lago di Lefordy. Ma, in ogni caso, era un suo superiore, in quanto Orsem.

«Forse non mi sono spiegato» continuò Larenc, eguagliando l'odio negli occhi di Tolecnal con quello che risiedeva nei propri. «Lanes Kerol deve essere trasferita oggi stesso. Ora

«Non mi risulta.» Calud gli tenne testa, nonostante la sua fronte stesse cominciando a sudare.

Larenc sospirò, consapevole dell'effetto che aveva su Tolecnal. L'addio dell'Imperatore corrispondeva a una predizione. Un destino di morte. E per un Orsem Guardia, relativamente giovane e in salute, un destino di morte poteva essere compiuto solo per mano di un Paranx. E si dava il caso che Endris Larenc fosse stato da poco promosso a quel rango.

«Gli ordini dell'Imperatore sono cambiati» mentì il giovane.

«Non può—» provò a dire Calud.

Larenc si fece avanti, e parlò a bassa voce, in modo che Kerol non potesse sentire. «Diglielo tu, adesso, che invece resta qui» sussurrò, facendo cenno verso di lei.

Perché Kerol aveva sentito tutto. Si era tirata in piedi, era venuta vicino alle sbarre per ascoltare meglio, e credeva alle parole di Larenc. E trovava nei suoi occhi quella stessa luce che aveva visto durante la loro missione nel Vuoto, quando aveva tolto la vita a Tozotis Sagimur con tanta spietatezza.

La spietatezza che aveva sul campo di battaglia, e quella per la quale Kerol sapeva che si sarebbe odiato. La stava usando di nuovo, per lei.

Ma non poteva mostrarsi felice, per questo. No. Larenc lo stava facendo per riscattarsi, perché era tormentato dal senso di colpa. Doveva essere così. Era comunque un aiuto, certo, ma non era uno per il quale Kerol lo avrebbe ringraziato.

Calud borbottò, mentre apriva la cella di Kerol, estraendo da una tasca un paio di manette. La giovane sospirò di sollievo a quel cigolio, e accettò di buon grado i due cerchi metallici attorno ai polsi. Tutto – o quasi – piuttosto che trascorrere un altro secondo in quella cella.

Erano passati più di due anni, da quando i suoi piedi avevano toccato per l'ultima volta la sabbia del deserto di Gejta. Più di due anni dall'ultima volta che, di fronte a sé, l'orizzonte non era stato spezzato, intervallato da strisce verticali. Ventisette strisce verticali.

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