Capitolo Ventitré

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3 maggio 1579

Fuori dai confini della città di Neza, il Maglev non poteva continuare. Non c'erano binari, e il territorio si faceva sempre più ostile e pericoloso man mano che ci si avvicinava al Vuoto.

Larenc e Kerol passarono una buona mezz'ora in un trasporto, un fuoristrada, che si destreggiava fra i sassi del terreno roccioso del sentiero impervio. L'autista era costretto a svoltare a ogni masso, a ogni cratere, pressoché minuscolo se messo a confronto con la vastità del Vuoto.

I due partner facevano del loro meglio per attaccarsi alle maniglie del trasporto, mentre venivano sballottati a destra e sinistra all'interno della cabina. In particolare, cercavano di non toccarsi. Avrebbero preferito sbattere la testa contro il vetro che sfiorare la manica della divisa dell'altro.

Non ebbero bisogno che venisse loro detto, per capire che erano giunti a destinazione. Quando il trasporto si fermò, era perché davanti a esso la strada era come svanita, sostituita non dall'acqua, non dal ghiaccio, e nemmeno dalle nuvole, ma dall'aria. Dal Vuoto.

Larenc e Kerol scesero dal trasporto, e nel balzare a terra i loro stivali alzarono nuvole di polvere. L'aria era fredda e inodore, come se anch'essa, dopo aver sostituito la terra, fosse stata sostituita dal nulla.

Un qualche lontano istinto attirava entrambi più vicini al margine del precipizio, ma la ragione li fermava dal compiere un passo dopo l'altro verso l'orlo del baratro. Le nuvole più basse, all'orizzonte, nascondevano la sponda opposta della gigantesca voragine.

Un gruppo di uomini stava a un lato di uno strano macchinario, una cabina di vetro assicurata da alcune funi d'acciaio, e collegata a delle ruote dentate. Erano Paranx Esploratori, e quello strano marchingegno doveva essere ciò che permetteva loro di scendere nel Vuoto.

Larenc si avvicinò al gruppo di uomini, e Kerol lo seguì, distogliendo lo sguardo dal panorama a nord.

Stava per chiedere di Tozotis quando una voce giunse dalle loro spalle. «Siete voi i due pazzi che vogliono andare là sotto?»

Era un uomo alto e magro, sulla quarantina. I suoi capelli erano corti, castani e unti. Non si curava del suo aspetto, o più probabilmente il suo lavoro non gli lasciava tanto tempo da dedicare a se stesso. La sua pelle di una tonalità alquanto scura era in netto contrasto con i suoi occhi azzurri, vispi e vivaci, che contenevano una strana, pericolosa scintilla.

Si trattava della follia. Kerol la riconobbe. E capì che era meglio diffidare di lui.

Indossava l'uniforme dei Paranx Esploratori, in tutto simile a quella dei Paranx Ricognitori se non per il colore delle bordature – argento anziché oro – e la mancanza della sciarpa che copriva il volto, avvolta invece attorno al collo.

Nonostante fosse ormai primavera inoltrata, ancora indossava la pesante giacca con cappuccio. Sembrava fosse pronto ad affrontare l'inverno. Tirava un vento alquanto freddo, ma era comunque maggio.

«Pazzi?» ripeté Larenc, sorridendo appena, voltandosi verso di lui. «È così che siamo stati definiti dall'Imperatore?»

«Non da lui» rispose l'uomo, compiendo un paio di passi in direzione dei due giovani. «Da me» disse, per poi scoppiare in una sonora risata, una sorta di ghigno malefico. «Tozotis Sagimur» si presentò, togliendosi il guanto dalla mano destra e tendendola a Larenc, poi a Kerol. «Ma, visto che siete speciali, potete chiamarmi Sagi.» Sogghignò ancora, e ammiccò alla giovane.

Larenc strinse la sua mano, accennando a un lieve inchino. Sagi diede una stretta molto energica. Le sue mani erano secche, screpolate, e callose. Lavorava molto, al freddo.

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