Capitolo Ventiquattro

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Sagi entrò in una grotta apparentemente scelta a caso, e i due giovani lo seguirono.

Il soffitto era una volta cristallina, di candele di roccia e di ghiaccio, sgocciolanti. Il terreno era scivoloso, e le leggere salite e discese formavano insieme al soffitto e alle pareti spazi più ampi e corridoi stretti e bassi, che costringevano i tre a piegarsi, quasi a procedere carponi, in alcuni punti.

Alcune gocce d'acqua cadevano ritmicamente andando a unirsi a un ruscello sotterraneo che scorreva verso l'esterno della caverna. Il suono riecheggiava insieme a quello dei loro passi nell'oscurità sempre più fitta della grotta.

Delle lampade a led erano state piazzate a intervalli più o meno regolari su entrambi i lati del corridoio lungo il quale i tre stavano camminando. Era troppo uniforme per essere un'opera naturale, e non vi erano stalattiti, né stalagmiti. Doveva essere stato scavato proprio dai Paranx Esploratori.

La roccia delle pareti era umida, e la condensa si formava sulla superficie in vetro delle lampade. L'aria era fresca, e intrisa di un odore quasi metallico, forse a causa dei minerali che scintillavano a destra e sinistra dell'angusta caverna.

Il corridoio si diramava in tanti piccoli cunicoli, che portavano a nicchie o ad altri corridoi, fili intrecciati che solo la mente di Sagi era in grado di districare.

A un certo punto, i tre percepirono come un vento caldo, un leggero soffio, provenire da uno dei corridoi alla loro destra. Sagi si fermò sui suoi passi, e gli altri due lo copiarono.

«Eccoci qua» annunciò, facendo cenno in direzione di uno dei cunicoli, sfoderando un altro dei suoi sogghigni, ai quali i due partner non sarebbero mai riusciti ad abituarsi. Prese a camminare silenziosamente in quella direzione, facendo un breve cenno ai due giovani perché lo seguissero.

Larenc estrasse la pistola dalla fondina che teneva alla cintura attorno alla vita, e caricò quattro colpi. Poi seguì Sagi nell'oscurità, mentre Kerol camminava in silenzio, dietro di loro, nascosta dietro il nagyvet. I suoi passi erano tanto leggeri che nemmeno il tacco dei suoi stivali mandava un'eco per la caverna.

Kerol era estremamente agitata, ma non voleva darlo a vedere. Si sentiva inutile, disarmata, e incapace di creare l'illusione del Dragone all'interno di un luogo tanto angusto, freddo, e buio. L'ambiente circostante la stava facendo impazzire, e temeva di aver perso il senso dell'orientamento. Temeva di non riuscire più a uscire da quella caverna infestata dai mostri.

Fu costretta ad ammettere a se stessa che avrebbe voluto informare Larenc delle sue preoccupazioni, modificando il suo piano, e stringersi a lui sussurrando ho paura. Ma la parte più superba e distaccata di lei ebbe la meglio, e la costrinse a rimanere in silenzio, al suo posto, fino a che non sarebbe arrivato il momento.

Al contempo, Larenc era sicuro di aver avvertito l'agitazione nel leggero tremore di Kerol, che non era dato dal freddo. Percepiva la sua insicurezza, i suoi dubbi su Sagi, ma sapeva che se avesse aperto bocca sarebbe stato zittito da uno dei due, e che Kerol lo avrebbe odiato a morte se anche solo avesse accennato a una sua ipotetica debolezza. E sapeva anche che questo era perché Kerol, in realtà, era fragile. Era umana.

Sagi stava procedendo in avanti, a passo felpato, verso l'apertura nella roccia, un cunicolo che conduceva a una nicchia. Aveva sbirciato, e aveva visto un mostro. Nonostante esplorasse quelle caverne da anni, vedere un mostro mandava sempre una scarica di adrenalina giù per la sua schiena.

«Manticora» aggiornò i due giovani su ciò che si sarebbero trovati davanti.

«Che cosa?» Larenc non si preoccupò di fare sfoggio della propria ignoranza.

«Come un leone, almeno per metà» spiegò Sagi, con una sinistra allegria nella voce. «L'altra metà è scorpione. Scorpione grande.»

«Vuoi dire la testa o la coda?» balbettò Larenc.

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