Capitolo Undici

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Tutti e tre erano seduti sull'immenso divano con penisola al centro del soggiorno, di un bianco pomposo e appariscente. Morbidi cuscini di velluto erano sparsi su di esso, alcuni neri, altri grigi, altri ancora di un rosso scuro. Al vero e proprio centro del soggiorno vi era un tavolino di vetro, con gambe di quel ferro nero che Solean stava cominciando a odiare.

Sul muro di fronte al divano vi era un grande schermo, ora spento, mentre sul mobile sottostante erano sistemati, in modo ordinato, prima dei volumi, poi delle fotografie incorniciate, e infine alcune minuscole piante da interno. Finte, volle scommettere Solean.

La stanza era ampia, con una vetrata oscurata da sottili tende di raso nero che dava verso ovest, in direzione del quartiere Imperiale. Se non si fosse sentito costretto a concentrarsi solo ed esclusivamente sulle domande delle due persone sedute alla sua destra e alla sua sinistra, Solean avrebbe volentieri dato un'occhiata.

«Quindi, Solean,» riprese a dire Davar, «sicuro di non ricordare nient'altro del tuo servizio militare? Neanche una battaglia? Neanche il tuo partner?»

Solean scosse la testa, alle prime due domande, poi fu come se avesse ricevuto un'illuminazione. «Ricordo solo il suo nome» rivelò, riferendosi al proprio partner. «Marton Matyas. So che venne ucciso dagli Yksan durante l'ultima battaglia alla quale presi parte, quando ricevetti lo sfregio cerebrale.»

«Sei riuscito a ricordare gli attimi precedenti allo sfregio?» domandò il padre, stupito e preoccupato.

Posò una mano sulla spalla di Solean, ma la sua non era apprensione. Non era amore paterno. Era pura curiosità. Raksos Davar era uno scienziato. Non un padre.

«Non proprio» confessò Solean.

L'espressione sorpresa di Davar venne sostituita da una fronte corrugata e delle sopracciglia aggrottate. Anche la presa sulla spalla di Solean si fece più debole, e la sua mano si scostò dalla spalla del giovane uomo, per andare a sistemare gli occhiali sul suo naso.

«Allora, come hai avuto queste informazioni?» chiese questa volta Anelia.

Solean si voltò verso di lei, seduta alla sua destra. «Mi è stato detto dal mio vecchio compagno di stanza.»

Pensò di non rivelare il suo nome. I coniugi Raksos apparivano alquanto indispettiti dal fatto che le conoscenze di Solean provenissero da fonti esterne al suo stesso serbatoio mnemonico. Se i due Megert avessero avuto il potere di far passare dei guai a Larenc, Solean non se lo sarebbe mai perdonato.

«Bene» Davar si sistemò di nuovo gli occhiali, e si alzò, seguito dalla moglie, prima di rivolgersi un'ultima volta a Solean. «Hai qualche domanda?» chiese.

Non si aspettava una risposta positiva.

«In effetti,» cominciò a dire il giovane uomo, «avrei un paio di cose da chiedervi.»

I Raksos si scambiarono uno sguardo, prima di sistemarsi di nuovo sul divano ai lati del figlio. Entrambi lo osservavano, in ascolto.

«Volevo chiedere...» balbettò, insicuro, e indeciso su dove guardare, su che cosa fare con le mani, chiedendosi se fosse opportuno sistemarsi i capelli, o la maglia. Si schiarì la voce. «In che cosa consiste, questo vostro metodo per aiutarmi a recuperare la memoria?»

Le sue parole rimasero come appese nell'aria, ma Solean resistette all'istinto di giustificarsi, ritrattare, e sparire di nuovo nella sua camera.

Voleva risposte. Ne aveva bisogno. Se quel suo terribile presentimento era fondato, avrebbe dovuto ottenere delle prove.

«Si tratta semplicemente di una questione di abitudine» rispose il padre, scegliendo con cura le parole.

Solean si voltò verso di lui, senza capire, sopracciglia aggrottate.

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