Capitolo Quarantasette

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La notte era ormai calata su Zena. Le infinite luci dell'Accademia erano accese, e accentuavano il contrasto con il cielo nero della città di Neza. Era come se le stelle fossero cadute dalle nuvole, e si fossero posate sulla terra, per dimostrare al firmamento che gli Ember erano più forti, che Zena era ancora viva.

Larenc era nella stanza di Loura, seduto sul letto che un tempo era stato quello di Rozsalia. Come accadeva ormai da tempo, il giovane uomo condivideva con lei le sue preoccupazioni. Da quando Kerol se n'era andata, anche il suo ultimo punto di riferimento era sparito. E da quando aveva visto cosa era stato di lei, a Gejta, si era spaventato.

E si era odiato.

Era andato a trovarla proprio su consiglio di Loura, che lo aveva avvertito, gli aveva detto che l'avrebbe trovata molto diversa. Ma Larenc non avrebbe mai potuto essere pronto a niente del genere.

La sua pelle, una volta di nobile porcellana, ora sembrava fosse fatta di gesso, e che potesse sgretolarsi con altrettanta facilità, al minimo tocco. Le sue mani sembravano ancora più sottili, le sue dita ancora più snelle. Le sue ossa, poi, sembravano essersi ingrandite, o la sua pelle essersi come ristretta, mostrando ancora di più le clavicole, accentuando il mento e gli zigomi. E i suoi capelli, di quel ricco mogano ondulato, ora si erano tramutati in paglia, e avevano perso la loro forma. Si erano fatti sottili e fragili. Ogni parte di lei sembrava ora sul punto di spezzarsi, proprio come la sua mente era appesa a un filo, sul margine della follia.

Larenc si confidava con Loura solo per chiederle consiglio su che cosa fare, perché aveva bisogno di una guida. Era sempre stato insicuro, ma aveva imparato a nascondere i suoi dubbi sotto la maschera che indossava quando andava sul campo di battaglia.

Aveva imparato a fingere, ma non ad affrontare i problemi. Aveva imparato a mentire, ma non a prendere decisioni.

Nemmeno quella di avvicinarsi così tanto a Loura, in tutto quel tempo, era stata una decisione. Non era qualcosa che Larenc aveva fatto in maniera cosciente. E i brevi baci e le carezze che avevano condiviso sembravano pugnali nella schiena di Kerol, quando vi rivolgeva il pensiero, ma non erano nulla, quando pensava alla Djabel del Dragone, a quello che era sempre stato il suo stile di vita.

Eppure diventavano tutto, quando pensava a Loura.

Ora Larenc non sapeva più che cosa fosse giusto, e cosa no. Le sue vittorie sul campo di battaglia lo avevano portato a essere celebrato come un eroe, ma come poteva sentirsi fiero di sé, mentre la sua partner marciva nelle prigioni di Gejta?

Ed era una scusa troppo facile, dire che non era più la sua partner.

Larenc non aveva mai odiato il simbolo del reparto dei Paranx Ricognitori, mai tanto quanto ora, quando lo avrebbe voluto vedere in nero su sfondo oro, piuttosto che viceversa. Non aveva più una partner. Non aveva più dei compagni d'armi. Non aveva più un padre. Tutto ciò che la guerra gli aveva portato erano gloria e solitudine. E avrebbe volentieri rinunciato alla prima, pur di colmare il vuoto, e scacciare anche l'altra.

«E poi c'è Magastor.» Larenc andò ad aggiungere un altro elemento all'infinita lista delle sue preoccupazioni. Si sistemò, sedendosi con le gambe un poco più allargate, e posando il gomito sulla coscia destra, mentre con l'altra mano bilanciava il peso che la sua gamba sinistra non era ancora del tutto in grado di sostenere. Sorresse il proprio mento con la mano destra, sospirando, e cominciando a passare le dita sulla propria guancia, valutando se fosse o meno il caso di radersi, la mattina seguente.

«Qual è il problema?»

Larenc si preparò a doverle dare una lunga spiegazione. Ma non gli pesava. Loura lo capiva, sapeva come trattare con lui. Probabilmente si basava sui suoi ricordi del libro del destino.

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