Capitolo Sette

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12 aprile 1579

Di nuovo, Kerol era stata costretta a viaggiare in Maglev insieme al suo partner, Endris Larenc. E, di nuovo, era stata convocata dall'Alto Imperatore al Palazzo di Neza, insieme a lui.

Se non altro, questa volta non doveva sostenere la vista dei due innamoratini. La presenza di Rozsalia la disgustava. Non riusciva nemmeno a provare pena, per quella povera incapace. La disprezzava. La odiava. Rozsalia non si rendeva conto di quanto fosse fortunata.

Se lei avesse abbassato la guardia soltanto una volta in più, in passato, avrebbe smesso di respirare molti anni prima. E Rozsalia era aperta, ingenua, fiduciosa. Non vedeva il male. Non si sforzava di vederlo. Aveva paura di farlo.

Era una codarda.

Per questo la odiava, pensò Kerol. Tuttavia, non poteva nascondere altri infiniti motivi per cui, talvolta, aveva provato il fervente desiderio di farle del male, se non addirittura di ucciderla.

Rozsalia era pura. Era bella. Era felice. Aveva qualcuno da amare, e che la amava davvero, nonostante fosse indubbiamente una codarda.

Kerol la invidiava, per ciò che aveva, ma non avrebbe lasciato che quell'invidia la consumasse. E, dentro di sé, poteva dire con onestà che non avrebbe mai voluto essere al suo posto. Non avrebbe mai voluto essere lei.

Anche se, in effetti, essere Rozsalia avrebbe significato ottenere l'attenzione di Larenc, che preferiva osservare i grattacieli della città di Neza, piuttosto che il suo viso.

Kerol si sistemò una ciocca di capelli, facendola cadere con noncuranza sulla sua spalla destra, e si voltò verso il finestrino, prima per controllare che il suo viso fosse privo di imperfezioni, come lo era stato fino a quella mattina, e poi guardando oltre, per vedere che cosa ci fosse di tanto sorprendente nel paesaggio urbano di Neza. Per vedere se davvero dei pannelli di vetro e dei tubi d'acciaio erano più affascinanti di lei.

Rimase meravigliata. I grattacieli andavano alzandosi, osando sempre di più, man mano che il Maglev si avvicinava alla stazione centrale. Alcuni sembravano avvolgersi su se stessi, serpeggiare, e Kerol si chiese se fosse possibile che anche il vetro delle finestre di quelle fantastiche costruzioni fosse ricurvo, come quello di una gigantesca lente.

Il Maglev procedeva su delle rotaie sopraelevate, parallelo a decine di corsie di autostrade sulle quali sfrecciavano infinite vetture, una dietro l'altra. Ma la loro velocità era pressoché nulla rispetto a quella del treno.

I raggi del sole del tramonto erano offuscati, e si perdevano nella nebbia della città, mentre le luci di Neza avrebbero sovrastato le stelle con il loro rumore. Le insegne dei locali e di altri luoghi di svago già scintillavano, e Kerol poteva leggere il nome di almeno una ventina di posti in cui avrebbe preferito essere in quel momento.

In lontananza, le strade si intricavano, andando a formare prima le aree commerciali, poi i sobborghi e le periferie. Nulla come la povertà, tuttavia, sfiorava anche solo minimamente il quartiere Imperiale, nel quale ora Kerol e Larenc si trovavano.

Kerol cercò di contare di quanti piani fosse uno dei palazzi più bassi, al margine della zona commerciale. Contò sedici o diciassette finestre in verticale, poi il Maglev si infilò in un tunnel, bloccando la sua visuale. Presto il treno sarebbe disceso dolcemente, fino a raggiungere la stazione.

Neza aveva una struttura rigida, quadrata. Costruita sul fiume Kod, che la bisecava da nord a sud, era divisa in quattro quartieri, con l'Accademia al centro, sotto la quale scorreva il fiume, che alimentava la fontana dell'atrio. Dall'Accademia si accedeva ai quartieri di Wedenak, a nord-est, e di Fogad, a sud-ovest.

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