Capitolo Sessantuno

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Kerol non fece domande su come Larenc si fosse procurato le chiavi per il fuoristrada che li aveva portati sul campo di battaglia, e il giovane ne fu estremamente grato. Se anche solo avesse nominato Khilents Chayon, aveva la sensazione che Kerol, per orgoglio, avrebbe preferito raggiungere il fronte a piedi. E, una volta che le avesse detto che era stato proprio quell'Halosat a fornirgli anche la chiave per il portale onirico di Keja, Kerol si sarebbe rifiutata di fare anche solo un altro passo.

Larenc parcheggiò il fuoristrada a lato dell'accampamento, insieme a tutti gli altri veicoli. Era solo uno dei tanti, e Larenc era solo un Paranx dei tanti. Solo Kerol avrebbe potuto dare nell'occhio, ma l'uniforme impediva loro di essere riconosciuti. La divisa che Larenc aveva procurato a Kerol, infatti, non era quella che le sarebbe spettata se ancora fossero stati partner – in quel caso, la giovane avrebbe portato sulle spalle il fregio raffigurante una tigre nera su sfondo dorato, simbolo dei Djabel con partner. L'uniforme di Kerol era quella di una comune Paranx Ricognitrice, e il fregio era un gallone oro su sfondo nero, a significare che chi la indossava non aveva un partner.

Avrebbero nascosto poi la loro vicinanza dicendosi compagni di squadra, e dando il nome di un numero in disuso, o stanziato altrove. 813, magari. Oppure, pensò Larenc, 821. Era stata la squadra di suo padre. Il fatto che chi la guidava fosse morto era determinante. La Squadra 821 era stata sciolta, i suoi membri spartiti in altri plotoni. Era svanita nella nebbia e nell'ombra, e non in modo eclatante. E quell'oscurità, quell'ambiguità era ciò di cui i due giovani avevano bisogno, ora, per raggiungere il portale onirico che conduceva a Noomadel.

A Fersenvar vi erano pochi soldati. Non era un luogo pericoloso, quindi la maggior parte delle truppe stanziate lì erano composte da Tesrat giovani e inesperti. Nessuno che avrebbe riconosciuto Larenc o Kerol. I due camminarono furtivi in direzione di una delle piattaforme per i Djabel, vicina all'infermeria. Entrarono nella stanza sottostante, come per cercare qualcuno, ma sapevano che l'avrebbero trovata vuota. La disinvoltura con la quale si muovevano da un lato all'altro dell'accampamento era funzionale a far credere ai soldati lì presenti che Larenc e Kerol si trovassero lì da sempre.

Tuttavia, presto arrivò il momento di attraversare il campo di battaglia. Era un deserto roccioso. Spuntoni e macigni si ergevano tutt'attorno, delineando un corridoio che conduceva al portale onirico situato a un passo dal precipizio. La scogliera sovrastava Tenger, e Kerol non aveva mai osservato cosa si trovasse proprio sotto il margine della penisola, ma era pronta a scommettere che si trattasse di scogli altrettanto appuntiti.

Quando raggiunsero la metà del campo, si sorpresero di non essere ancora stati richiamati. Si aspettavano l'ordine di un qualche Halosat di ritornare alla base.

Si fermarono, e si guardarono indietro. Non si vedevano Tesrat, ora. Solo gli accampamenti, parzialmente nascosti dalla nebbia che ricopriva la pianura, e, in lontananza, le rovine del castello.

Era silenzioso. Fin troppo. L'unico suono che riuscivano a sentire, oltre al ritmo dei loro respiri e il battito dei loro cuori, era la risacca di Tenger, distante, alla base del promontorio.

Larenc e Kerol si scambiarono un'occhiata, ma poi decisero di continuare a correre verso est.

Ora non vedevano solo i colori dell'alba riflessi dalle nuvole e dal cielo. Ora vedevano il sole, e, poco distante, Erran. Si sarebbe verificata un'eclissi, quel giorno. Il fronte del Vuoto sarebbe stato invaso dai mostri. Larenc aveva fatto la scelta giusta, quando aveva deciso di fuggire da Fersenvar.

Non hai scelto, gli ricordò una voce. Non hai deciso. Ma Larenc la zittì, e continuò a correre in direzione di quella sfera di fuoco, un fuoco rosso, arancio, rosato, alla luce del quale, a un tratto, se ne accavallò un altro, dello stesso colore.

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