Capitolo Due

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I passi di Kerol riecheggiavano per i corridoi dell'Accademia della Guerra, proprio come facevano un tempo, ma da essi erano svanite la serenità e l'ingenuità della giovinezza. La ragazza non era ansiosa di incontrare qualcuno, non stava andando a lezione, né in biblioteca. Stava semplicemente passeggiando, senza meta.

Il suo obiettivo non era raggiungere un luogo, ma una sorta di pace, dentro di sé. Una voce nella sua mente le sussurrava che stava perdendo tempo, che aveva qualcosa da fare, un luogo dove andare.

Keja.

Doveva formulare un piano, e portarlo a compimento, in fretta. Si trovava di nuovo a Zena, che come ben sapeva pullulava di soldati. Quindi anche di Halosat.

Un leggero sorriso costrinse le labbra di Kerol a incurvarsi, senza che la sua mente ostile e oscura potesse opporvisi. Venire costretta a stringere un Patto con Endris Larenc aveva i suoi lati positivi, e quello che era un ordine dell'Alto Imperatore passava da una condanna a una benedizione.

Endris Walturn era un Halosat, e Larenc era un ponte, un tramite perfetto, per raggiungere proprio lui. Walturn era scettico e ottuso, ma nemmeno lui avrebbe dubitato del suo stesso figlio.

Si trattava di rubare una chiave. Un furto e una fuga, e in cambio una vita eterna e pacifica.

Il fuoco della speranza si ravvivò in lei. Avrebbe solo dovuto convincere Larenc ad aiutarla. Oppure avrebbe potuto scoprire qualcosa di compromettente su di lui, e costringerlo, minacciando di far parola di un qualche suo misfatto proprio a suo padre.

Larenc aveva rispetto della sua figura paterna, ma soprattutto ne aveva timore, e falliva nel nasconderlo. Questa era una sua debolezza.

Kerol avrebbe dovuto soltanto fare attenzione a non scoprire le sue carte troppo in fretta, e con un poco di tempo avrebbe ottenuto ciò che voleva. Sarebbe svanita nel nulla di nuovo, ma questa volta non sarebbe tornata con un esercito.

Lasciare che Lanes Kerol venisse esiliata a Keja avrebbe giovato all'intera dimensione di Zena.

Certo, fuggire a Keja avrebbe significato vivere in solitudine, probabilmente, ma quella di essere sola sarebbe potuta essere una scelta sua. Era l'unica in ogni angolo dell'Eterno ad avere il diritto di raggiungere quel paradiso.

Avrebbe agguantato un Yksan di bell'aspetto, e lo avrebbe trascinato a Keja con sé. Quando si fosse stancata di lui, lo avrebbe riportato a Noomadel, e sostituito, se avesse voluto. Magari ne avrebbe portati con sé due o tre alla volta, se proprio avesse avuto timore di sentirsi sola.

Ancora persa nelle sue fantasie, Kerol raggiunse il corridoio principale, quello che conduceva alla fontana centrale.

La giovane osservò il paesaggio fuori dalle vetrate, con sguardo critico e disilluso. Una falsa primavera, dei fiori trasparenti, un cielo di vetro. E gli Ember erano felici, sorridevano. Ma anche quella, come tutto nel loro mondo, era un'illusione.

Tutto e tutti erano falsi. La solitudine alla quale Kerol intendeva condannarsi non era nulla in confronto a quel branco di codardi e ipocriti. Tutti coloro che la circondavano non provavano altro che odio per lei, e che fossero Yksan, Djabel o Tesrat, erano dei completi idioti.

Il suo unico pensiero era di andarsene. Poco importava se fosse stata sola. Poco importava se tutti fossero stati contenti della sua dipartita. Poco importava se nessuno l'avesse pregata di restare. E ancor meno importava che qualcuno fuggisse a Keja con lei.

Che senso aveva andare alla ricerca del vero amore con cui condividere l'esistenza? Un tempo pensava che si trattasse di Samiel, ne era convinta, lo aveva creduto. E lui l'aveva tradita.

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