Prologo I

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24 marzo 1579

Solean non aprì subito gli occhi. Rimase per qualche momento con lo sguardo perso nell'oscurità, arrossata dalla luce che filtrava attraverso le sue palpebre. Si chiese per quanto tempo avesse dormito – non lo ricordava.

Cercò allora di farsi tornare alla mente gli eventi della sera precedente, ma si rese conto che non aveva nemmeno idea di quando si fosse addormentato, o in quale letto stesse riposando, e le sue orecchie captarono un suono, che gli impediva di concentrarsi. Gli venne istintivo scaricare su di esso la colpa di questa sua mancanza di memoria, ma ancora tentò di ricordare. Più si sforzava, più aveva la sensazione che ci fosse una morsa, stretta attorno alle sue tempie, e che si stesse stringendo sempre di più, mentre la pressione diventava dolorosa e minacciava di farlo esplodere.

Solo dopo essersi arreso all'insistente rumore Solean cominciò a domandarsene l'origine. Era un trillo acuto ed elettrico, fastidioso e intermittente.

Allora Solean aprì gli occhi, deciso a trovare l'origine di quell'irritante rumore, a mettervi una fine. Si ritrovò davanti un cielo stellato, che stonava con quel ronzio elettrico. Le stelle scintillavano a turno, alcune di un bianco rosato, altre giallognole, altre ancora di un bianco candido, quasi azzurrino.

Sbatté le palpebre più volte per abituare gli occhi alla fioca luce proveniente dal cielo, e capì che doveva trattarsi di un dipinto olografico – le stelle, quelle vere, non brillavano così tanto, ma non per questo erano meno belle.

Il brusio elettrico continuava in sottofondo, ogni trillo distinto, a un ritmo che ricalcava quello del suo cuore.

Per quanto li cercasse da un angolo all'altro di quel cielo fasullo, Solean non vedeva nessuno dei due satelliti – né Luna, né Erran.

Erran.

Solean ricordò qualcosa. Non tutto ciò che avrebbe voluto, ma di certo questo era un inizio. Erran aveva oscurato il sole, durante l'ultima battaglia alla quale aveva preso parte.

No, non l'ultima. Era stato molto tempo prima. Eppure Solean ricordava ognuno di quei momenti, distintamente. Ricordava la paura nel momento dell'eclissi, il terrore mentre i mostri scalavano le pareti rocciose, risalendo dal Vuoto, e minacciavano entrambi gli schieramenti sul campo di battaglia, per poi fare rotta verso Tenger, il mare grigio, e scomparire tra le onde. In quel momento, non si era più nemici, ma ugualmente vittime, e come prede spaventate si fuggiva, ognuno dietro le proprie mura, abbandonando i compagni più deboli come avrebbero fatto i codardi. Perché, alla fin fine, è questo che sono gli esseri umani. Un branco di codardi. E possono solo incolpare l'istinto per questo, ma se quell'istinto non esistesse, nessuno di loro sarebbe umano, e probabilmente nessuno di loro sarebbe vivo, avendo gettato la propria vita al vento invece che fuggire da un pericolo incontrastabile.

I mostri erano una delle ultime immagini che Solean riusciva a ricordare, ma erano ricordi dei quali avrebbe volentieri fatto a meno. Altre figure andavano via via sfocandosi, mentre cercava di riafferrarle, e la testa gli doleva di nuovo. Non era il rumore a stringere la morsa attorno alle sue tempie – erano i ricordi stessi.

«Solean» una voce chiamò il suo nome, e il giovane uomo voltò di scatto la testa verso chi lo aveva pronunciato. Si ritrovò davanti un uomo, alquanto giovane, con lunghi capelli d'argento, e occhi di un azzurro tanto vivo da fare invidia al cielo di Noomadel.

Solean non fece in tempo a chiedersi perché ricordasse il colore di un cielo tanto distante da quello grigio e nuvoloso di Zena. Pensò che i sogni e i ricordi offuscati dovessero essersi mescolati e confusi. «Sapevo che ti saresti svegliato» disse l'uomo, con un sorriso, mentre era ancora seduto nella sedia accanto al letto di Solean.

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