Capitolo Quarantatré

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Azuda era una città spenta. Morta. Le case erano ammassate le une sulle altre, ma erano vuote. Dei rudimentali pannelli solari ricoprivano il lato sud dei tetti, che sembravano sul punto di sbriciolarsi, e collassare.

Non vi erano strade asfaltate, soltanto parti di terreno che erano state calpestate abbastanza a lungo perché l'erba non vi crescesse più. Ovviamente, un fiore faceva capolino di tanto in tanto, un briciolo di verde a esaltare quel monotono marrone, a rovinare una perfezione rendendola imperfetta e migliore, come la vita è solita fare.

La vegetazione stava infatti divorando alcuni degli edifici, costruiti con cemento armato e tralicci di ferro. Le finestre erano barricate da assi di legno, nella maggior parte dei casi. Alcune porte erano state murate.

Era come se fosse avvenuta una sorta di esodo. Come se qualcuno, un giorno, fosse giunto ad Azuda, e avesse avvertito gli abitanti che all'infuori di quelle mura grigie, in quella valle spenta, vi era speranza.

Rozsalia seguiva Loura, i suoi passi incerti, mentre la sorella maggiore seguiva una mappa che esisteva solo nella sua mente, e procedeva sicura, svoltando in un vicolo solo per ritrovarsi su una via più ampia di quella che avevano appena lasciato.

Trovare i portali non fu difficile. Non erano protetti. Non si trovavano all'interno di un edificio. Erano lì, visibili dalla strada, da un incrocio. Uno in fondo a ogni via, ad eccezione di quella dalla quale le due sorelle provenivano. La via per tornare a Herenthel era più contorta.

Sembrava troppo facile. Così facile che rendeva sbagliato dirsi addio in quel luogo, con tanta fretta.

«Qual è quello per Telei?» chiese comunque Rozsalia. Sperava di poter dire il suo addio abbastanza in fretta da non rendersene conto.

Le luci provenienti dai portali erano flebili, rese quasi invisibili dai raggi del sole nascente.

Non era notte, ad Azuda. Sembrava non fosse passata più di qualche ora dall'alba.

«Quello.» Loura fece cenno con il mento al portale che si trovava proprio davanti a loro.

«Bene.» Rozsalia inspirò ed espirò profondamente, compiendo un primo, timido passo in quella direzione.

Nonostante le dispiacesse di doversi allontanare dalla sorella per chissà quanto tempo, aveva troppo timore che Tolecnal Calud le raggiungesse, troppa paura di non poter mai più vedere Solean. Era un pensiero crudele, ma era ciò che Rozsalia sentiva – Solean era più importante di qualsiasi altra persona.

Per questo aveva risposto quasi senza pensare alle provocazioni di Calud. L'unica vita che superava la propria, per importanza, era quella di Solean. E se non ci fosse stato altro modo per incontrarlo di nuovo, Rozsalia sapeva, nel profondo del suo cuore egoista, che avrebbe lasciato Loura distesa sull'asfalto duro e freddo a sanguinare, fino a morire, e sarebbe scappata via con Solean, senza alcun rimorso.

Perché lui era più importante. E questo, per gli Ember, è amore.

«Non dimentichi qualcosa?» La voce di Loura strappò Rozsalia dal vortice dei suoi pensieri.

La giovane si voltò di scatto, e i suoi capelli ondeggiarono, come una fiamma.

Sistemò la borsa che portava sulle spalle. «Non credo» disse, constatando che il bagaglio era ragionevolmente pesante per il viaggio che avrebbe dovuto intraprendere.

Loura le si avvicinò, e posò a terra la propria borsa – era molto più leggera. La aprì, e ne estrasse un grande tomo.

Il libro del destino, capì Rozsalia. «Non posso portarlo con me» disse la giovane, voltandosi di spalle, e facendo per andare.

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