Capitolo Cinquantatré

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21 novembre 1581

Svegliarsi sapendo che anche il più insignificante e insensato dei suoi sogni era stato previsto dall'Imperatore faceva sentire Larenc ancora più osservato di quanto già non si sentisse prima.

Kerol aveva accettato il tutto apparentemente senza difficoltà, tanto che stava ancora riposando beata, avvolta tra le coperte, distesa su un fianco mentre abbracciava il cuscino. E, qualsiasi immagine fosse stata proiettata nella sua mente, in quel momento, dietro ai suoi occhi chiusi, era conosciuta soltanto a lei e all'Imperatore. Con lui, ora Kerol condivideva involontariamente un segreto.

Forse lei avrebbe dimenticato la natura dei propri sogni, e si sarebbe svegliata con una sensazione di sconforto o d'angoscia, mentre l'Imperatore avrebbe saputo descriverne con esattezza le cause e gli effetti.

Larenc non poteva sopportarlo. Si sentiva esposto, prevedibile, più di quanto non ne fosse già cosciente. Si sentiva osservato, una lepre inseguita da un cacciatore. Un cacciatore che conosceva ogni suo nascondiglio.

Fu rapido a vestirsi, e a indossare la sua uniforme scolastica. Doveva andare in biblioteca, doveva recuperare gli appunti del giorno precedente da qualche compagno di corso, doveva studiare, doveva prepararsi a un esame. Doveva distrarsi.

«Larenc...»

La voce di Kerol lo fermò, quando le sue dita avevano ormai sfiorato la maniglia della porta. Aveva cercato di essere silenzioso, di non svegliarla.

Ma forse Kerol stava soltanto parlando nel sonno. Larenc decise che doveva essere così, e afferrò la maniglia, aprì la porta, e fece per uscire dalla stanza.

«Dove stai andando?» chiese però Kerol.

Larenc si fermò. Quindi era sveglia. Richiuse la porta e si voltò verso di lei.

La trovò nella stessa esatta posizione in cui l'aveva vista prima di vestirsi per uscire. Ancora con gli occhi chiusi. Ancora così calma. Ancora respirando così piano.

«In biblioteca» rispose lui.

«Da Loura» lo corresse lei. Ma non vi era amarezza nella sua voce, sorprendentemente. Il sonno doveva aver avuto la meglio sulla gelosia.

«Non ci vado per lei» disse Larenc, onesto, avvicinandosi al letto di Kerol. Prese una sedia dalla scrivania, e la alzò dal pavimento per non fare rumore, sistemandola per sedervisi rivolto verso il letto di lei. «Ci vado per studiare. E per lasciarti dormire.»

Kerol aprì gli occhi. La fiamma sempre presente nelle sue iridi allontanava il minimo di innocenza che il sonno dava alla sua figura. Ora sembrava pronta a uccidere. Pronta a combattere.

«Lei lo sa già» continuò Kerol. «Sarà lì ad aspettarti.»

Larenc alzò le spalle. «La saluterò, se la vedrò» disse, con noncuranza. «Ma poi andrò avanti con il mio lavoro. Ho degli esami importanti per cui studiare. E questo per me è l'ultimo anno.»

Allungò una mano verso di lei, come per stringere la sua, appoggiata sul cuscino, di fronte al viso, o come per accarezzarla.

Kerol fermò la sua mano con la propria, e i suoi occhi si gettarono dritti in quelli di Larenc, le loro fiamme avanzando, divorando il nero delle iridi di lui.

«Non puoi fidarti di Loura» lo ammonì lei. «Vuole usarti. Vuole usarci entrambi.»

Il primo istinto di Larenc fu quello di ritrarre la mano, ma riuscì a reprimerlo. Kerol temeva per lui. Aveva paura per lui. Non poteva mostrarsi spaventato. Così, di risposta, strinse la sua mano più forte, con entrambe le proprie.

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