Capitolo Quaranta

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Larenc era ancora disteso sul letto, in attesa, a chiedersi perché Kerol ci stesse mettendo tanto. Dopotutto, si trattava solo di recuperare un paio di libri. Pensò che forse la giovane non ricordasse la sezione nella quale avrebbe dovuto cercarli, ma poi si disse che era impossibile – la sezione B era la più visitata da tutti gli studenti dell'Accademia della Guerra.

Decise di darle ancora un po' di tempo. Non che ci fosse molto altro che potesse fare, con la gamba in quello stato. Abbassò lo sguardo al tutore in grafene. Era trasparente, ma più lo guardava più gli sembrava opaco. Riusciva a vederne e sentirne i contorni.

Sarebbe stato difficile tornare a combattere, anche se i Megert gli avevano garantito che non sarebbe stato impossibile. Se non avesse recuperato mobilità e agilità, era da escludersi che potesse entrare a far parte dei Paranx. E se non fosse entrato nei Paranx, non sarebbe mai diventato un Orsem. E se non fosse diventato un Orsem, non avrebbe potuto unirsi al Reparto di Strategia e Ingegneria.

La sua famiglia lo aveva sempre appoggiato perché perseguisse il suo sogno. Aveva in mente nuove strategie, nuovi macchinari. Le sue idee avrebbero potuto rivoluzionare la Guerra di Zena, portarla a compimento, a favore dell'Impero.

Suo padre era così fiero, quando era stato promosso a Tesrat Comandante, che Larenc si era promesso che non sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto rivolgergli quel sorriso.

Si sbagliava.

Ma ora, ora che i suoi sogni erano in pericolo, che avrebbero potuto spezzarsi, così come avevano fatto le sue deboli ossa, Larenc non aveva paura. Non aveva timore. E anche se effettivamente non sapeva se avrebbe mai potuto raggiungerli, si rendeva conto che non stava vivendo per quello. Non stava vivendo per diventare un Orsem.

E allora per che cosa vivi?

Si sentì improvvisamente vuoto. A che cosa aveva dedicato la sua vita, se non alla guerra? Una guerra insensata, gli ricordò una voce. Una voce che assomigliava sempre di più a quella di Kerol.

Allora, almeno al suo onore? No. Un soldato non ha onore. Un soldato ha un dovere.

Allora a quel dovere? Ma un dovere non è un obiettivo. È un'imposizione.

Non aveva mai scelto nulla di tutto ciò. Non aveva mai voluto nulla di tutto ciò. Aveva seguito le orme di suo padre, troppo concentrato a far coincidere perfettamente la sua impronta nella sabbia con quella che Walturn aveva impresso tanto tempo prima per alzare gli occhi all'orizzonte, e capire di stare compiendo un passo dopo l'altro verso l'orlo del baratro.

La morte negli occhi. Il coraggio nel sangue. La vittoria nelle ossa.

Il motto di Casa Endris non gli era mai parso tanto ridicolo. Una presa in giro. I suoi occhi erano vuoti. Il suo coraggio era perso. Le sue ossa spezzate.

Ma c'era una scelta che aveva compiuto, non per la sua famiglia, ma per se stesso? Per chiunque? Gli bastò abbassare di nuovo lo sguardo alla sua gamba per trovare la risposta, perché la risposta era proprio quella.

Kerol.

La sua ferita, alla fin fine, era stata una sua decisione, per quanto non potesse essere tale, nel mondo dell'Alto Imperatore che prevedeva ogni cosa.

Quello di voltarsi verso la schiera dei Djabel quando le fiamme erano scomparse era stato un istinto, ma quello di chiamare il suo nome e tentare di correre da lei, quello no. Quella era stata una scelta. Una scelta che era costata la vita a suo padre.

Non poteva prevedere tutte le possibili conseguenze – non era l'Imperatore – ma aveva chiare le sue priorità. E in quel momento aveva deciso che Kerol valeva di più.

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