Capitolo Otto

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13 aprile 1579

Solean si massaggiava una tempia, mentre le sorelle Netis lo riempivano di nozioni.

Avevano deciso di non mentire, ma nemmeno di rivelare tutto ciò che avevano scoperto. Dopotutto, come aveva detto Rozsalia, non erano sicure che si trattasse della verità. Si limitarono a parlare per ipotesi, sperando che la memoria di Solean potesse fare il resto, e chiarire i loro dubbi.

Fino ad allora, aveva funzionato. Solean aveva confermato che il suo cognome era Hann, e non Raksos, anche se non aveva saputo dire il perché ne fosse da sempre stato convinto. Parlò di genitori adottivi, ma non riuscì a descrivere i loro volti. I suoi ricordi erano vaghi e confusi, ma erano certi. Erano veri.

«Raksos Da... Danem? No, non sono sicuro» mormorava, scuotendo la testa, nel tentativo di ricordare il nome della sua figura paterna. «Dei Megert, avete detto?» chiese poi, cercando di racimolare altri ricordi, di mettere insieme i pezzi.

«Sì» confermò Rozsalia, con infinita pazienza. Doveva essere la terza o la quarta volta che Solean ripeteva la stessa identica domanda, che cadeva nello stesso identico circolo vizioso.

«Dovremmo fare una pausa» disse Loura, alzandosi dal tavolo e dando un'occhiata all'orologio, in alto sul muro della biblioteca. Era quasi mezzogiorno.

Si trovavano al pianterreno, nella sezione C. Avevano scelto quel luogo solo perché vi era un tavolo libero con quattro sedie. Quella mattina, Loura aveva marciato in direzione di quell'angolo con passi decisi, come se sapesse che non vi avrebbe trovato nessuno.

Rozsalia pensò fosse perché, lavorandovi per molto tempo, Loura era arrivata a conoscere le abitudini degli studenti che frequentavano la biblioteca.

La sua ipotesi non era del tutto errata, ma era stato il libro del destino a fornire indicazioni alla giovane Megert. E Rozsalia non aveva ancora idea dell'esistenza di uno strumento tanto potente.

Non le era sfuggita, tuttavia, quell'aura di ansia che circondava la sorella maggiore. Sembrava fosse in attesa di qualcosa di importante.

Forse attendeva l'arrivo di Endris Larenc? Effettivamente, ora che il giovane uomo aveva ripreso a frequentare il centocinquantunesimo corso all'Accademia della Guerra, doveva essere tornato a essere un visitatore abituale della biblioteca.

«Sono d'accordo» convenne Solean, massaggiandosi la nuca e alzandosi dalla sedia. Poi si stirò, come se si fosse appena alzato dal letto.

Rozsalia tenne gli occhi fissi su di lui, mentre le sue braccia fini si alzavano verso l'alto. Aveva tolto il blazer nero bordato d'oro per rivelare una camicia nera, i cui primi tre bottoni non erano allacciati.

La sua figura non era imponente, né muscolosa, ma Solean era un guerriero. Non nell'immagine, non nel portamento, non nella voce, ma negli occhi. Nel cuore. Nel sangue.

Si passò una mano tra i capelli, biondi, lisci e lunghi fino a poco oltre le spalle, aggiustando un paio di ciuffi ribelli. Parte della lunga frangia laterale copriva il suo viso e i suoi occhi nocciola, che erano a loro volta fissi sulla figura di Rozsalia.

La giovane si alzò con grazia, riponendo la sedia sotto il tavolo senza fare il minimo rumore. Era delicata, leggera e fragile. Aveva qualcosa di effimero, qualcosa che Solean avrebbe voluto stringere, e non lasciare mai andare, ma che al contempo aveva paura di infrangere al minimo tocco.

Quando Rozsalia gli rivolse un sorriso, fu come se Solean avesse appena realizzato per quale motivo aveva deciso di sopportare la morsa alle sue tempie per tutta la mattinata.

Era per lei. Era per ricordarsi di lei. Per tornare a essere il Solean che era una volta, quello del quale Rozsalia si era innamorata.

«Quando riprenderemo?» chiese, quindi.

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