Capitolo Ventuno

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Il refettorio dell'Accademia della Guerra era pressoché vuoto, a quell'ora della sera, salvo per un gruppo di studenti del centosettantacinquesimo corso rapiti dallo spettacolo proiettato su un grande schermo, e alcuni altri studenti più grandi, intenti a giocare a carte o a conversare. I minuscoli gruppetti erano sparpagliati per le lunghe tavolate, e ognuno si preoccupava solo ed esclusivamente degli affari propri.

Fino alla mezzanotte, gli studenti potevano consumare pasti e bevande – in questo senso, il refettorio funzionava come una sorta di bar – e gli schermi restavano accesi anche per tutta la notte, mostrando film, notiziari, o altri spettacoli.

Il refettorio dell'Accademia della Guerra era identico a quello dell'Accademia delle Scienze, e non vi erano divieti od obblighi da parte degli studenti dei differenti indirizzi di consumare i propri pasti in una specifica mensa. Il fatto era che i due locali erano diametralmente opposti, e non era quindi affatto comodo, per un qualsiasi studente, recarsi nel refettorio dell'Accademia opposta, considerando che le lezioni si svolgevano nelle rispettive ali.

Larenc e Solean erano seduti al margine di uno dei lunghi tavoli. Non si erano mossi dall'ora di cena, che avevano consumato insieme a Kerol, Loura e Rozsalia. Le due sorelle si erano congedate per prime, dicendo di voler passeggiare per i giardini e passare un poco di tempo insieme. Kerol se ne era andata una mezz'ora dopo, sostenendo di avere di meglio da fare.

Solo allora Solean aveva cominciato a parlare più nel dettaglio di quella che era stata la sua esperienza nella casa dei Raksos. Aveva mostrato a Larenc il suo diario improvvisato, composto da fogli liberi, alcuni lisci e alcuni a righe, chiedendo conferma all'amico a ogni passaggio, che quelli che aveva presunto essere i suoi ricordi non fossero semplici pensieri, paure, o incubi.

Larenc aveva annuito, per le parti che lo riguardavano. Sembrava che avesse recuperato molti ricordi del loro tempo passato insieme, e questo lo faceva sentire meglio. Lo faceva sentire più vicino all'amico che temeva di aver perduto.

Il senso di colpa che aleggiava negli occhi di Solean, tuttavia, non sembrava essersi affievolito, all'aumentare delle conferme di Larenc che i suoi ricordi erano autentici. Al contrario, l'espressione sul volto del giovane Djabel sembrava essersi fatta ancora più grave.

«Qual è il problema?» chiese a un tratto Larenc, durante uno degli sporadici silenzi che erano venuti a crearsi.

Per un po', lo sguardo di Solean rimase fisso fuori dalla finestra. Dal refettorio dell'Accademia della Guerra si poteva vedere oltre i confini della scuola, nel quartiere militare di Fogad. Le abitazioni erano squadrate, i palazzi alti e neri, le finestre piccole, e tutte identiche. Il quartiere di Wedenak era così diverso. Così simile a casa, eppure anche così lontano.

«Solean, me lo vuoi spiegare?» insistette Larenc.

Il giovane fu costretto a voltarsi, e a incontrare gli occhi dell'amico, mentre essi esploravano i suoi, alla ricerca di un qualche indizio. Chiuse gli occhi e sospirò, impedendoglielo. Dopotutto, anche se Larenc avesse continuato, non gli sarebbe piaciuto, ciò che avrebbe trovato.

«Riguarda i Raksos» confessò.

Larenc si tirò indietro, appoggiandosi allo schienale, soddisfatto che Solean si stesse finalmente aprendo. Gli fece cenno di continuare, e l'altro obbedì.

«Come ho già detto, sono dovuto fuggire. E non è stato facile.»

Solean raccontò di aver sentito i Raksos parlare di qualche faccenda sospetta, di aver origliato e poi di essersi barricato in camera. Disse che poi loro erano riusciti a entrare, ma nel frattempo lui aveva recuperato la sua abilità di creare illusioni, richiamando i quattro lupi. Poi, uscito dalla stanza aveva rinchiuso i due all'interno – se erano riusciti a entrare forzando la serratura, pensò che sarebbero riusciti a uscire allo stesso modo.

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