Capitolo Quattro

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31 marzo 1579

La sala del trono era buia, molto più buia di quanto i quattro giovani si sarebbero aspettati. Larenc apriva la fila, con Kerol poco distante, mentre Solean e Rozsalia procedevano più lentamente, ammaliati dalla maestosità del Palazzo di Neza.

Larenc stava tentando di dare l'impressione di aver già visitato quel luogo in passato, e ostentava una sicurezza in se stesso che non sentiva affatto, controllando di tanto in tanto le reazioni degli Halosat appostati ai lati del lungo e ampio corridoio, nascosti dalle altissime colonne di marmo grigio.

Tuttavia, le Guardie Imperiali erano impassibili quasi quanto l'Imperatore stesso. Stavano allineate, il fucile in vista e il nagyvet, lo scudo più grande, alle loro spalle. Sarebbe bastato loro un rapido gesto per passare all'attacco o alla difesa, per eliminare qualunque minaccia. Ma se ci fosse stata una minaccia di qualsiasi sorta, difficilmente l'Imperatore l'avrebbe lasciata avvicinare tanto. Ogni traditore o potenziale traditore dell'Impero veniva arrestato e spedito a Gejta, oppure ucciso. L'Imperatore sapeva che cosa fosse meglio per Zena.

L'Imperatore lo sa, ripeté Larenc, nella sua mente. Una preghiera e una maledizione.

Eppure Lanes Kerol era lì, di fianco a lui, ed era una traditrice, in tutto e per tutto. Che questa fosse la data della sua esecuzione, e che l'Imperatore li avesse convocati tutti quanti per mostrare loro che cosa sarebbe accaduto, se avessero osato voltare le spalle a Zena?

Kerol non sembrava affatto preoccupata. Al contrario, i suoi occhi danzavano alla ricerca dei più piccoli particolari nell'immensa sala, apparentemente perfetta.

Cercava un difetto. Perché senza alcun difetto, una cosa non è reale. E Kerol voleva la garanzia che quel luogo fosse reale. Voleva essere certa di non trovarsi in un sogno. O in un incubo.

La spaventava il fatto che il pavimento fosse di vetro. Grazie ai riflessi su di esso, Kerol poteva focalizzare il soffitto, oppure sbirciare ciò che si trovava nel primo piano sotterraneo. Non riusciva a vedere niente più di angusti corridoi e passerelle, il che le fece pensare che l'intero Palazzo Imperiale fosse costruito su di una profonda voragine.

Contò le colonne a destra e sinistra – ventitré su ogni lato – e cercò di valutare quanto fossero alte. La figura di un Halosat superava a malapena il piedistallo. Il fusto delle colonne era tortile e intarsiato con pietre di un colore più scuro e lucente, forse onice o ematite. Il capitello, speculare alla base, si apriva e si univa ai vicini, a formare il soffitto, una volta a ventaglio tremendamente articolata.

Il corridoio era interrotto da un transetto, nella sua parte finale. A destra e a sinistra vi erano i collegamenti forse alle stanze personali dell'Imperatore. Erano punti dai quali sarebbero potute fuoriuscire altre guardie.

La copertura sovrastante il trono era costituita da un'enorme cupola, a soffitto aperto oppure vetrato, a giudicare dalla luce del sole che vi filtrava. Era circa mezzogiorno, quindi i raggi illuminavano lo spazio in maniera ottimale, ampliando il divario che separava i quattro giovani dall'Imperatore.

Illuminato e al buio, più in alto e più in basso, onnisciente e ignari. Libero e condannati.

Kerol fu la prima a notarlo, ma nemmeno a Larenc sfuggì questa subdola manipolazione del tempo e degli spazi. Non era niente in confronto a ciò che li avrebbe attesi.

Sul muro opposto al portone di entrata si trovava un'enorme vetrata, come se la luce proveniente dalla cupola non fosse abbastanza. E al centro, bene in vista, sopraelevato grazie a due rampe di scale semicircolari e simmetriche, il trono.

Non era altro che una semplice sedia, ricavata dalla stessa roccia dalla quale erano formate le colonne, e quindi per giunta nemmeno comoda. Era un simbolo. Un avvertimento. Chi sedeva su quella scomoda sedia di marmo possedeva il potere.

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