39.

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Ve lo avevo detto che ci avrei provato, e ci sono riuscita.
Ecco a voi, dopo aver passato la mattinata a correggerlo, il capitolo 39, anche detto il SOMMO.
Quindi, per consolarvi dalla sconfitta schifosa, buona lettura!



You're giving me a million reasons to let you go
You're giving me a million reasons to quit the show
You're giving me a million reasons
Lady Gaga

Madeleine

Sentii suonare il campanello. Pensai a quanto Samuele fosse stupido a dimenticarsi le chiavi ogni singola volta. Ma perché non poteva ricordarsi di allungare il braccio al mobile e prenderle ogni volta?
Avrei dovuto appenderle al suo collo, quelle benedette chiavi.
Ma poi sapeva che stavo parlando con Rico, quindi perché mi doveva interrompere?

-Rico, dammi qualche minuto quanto vado ad aprire la porta a quel cretino. Non ti muovere.- gli dissi, e lui annuì soltanto, prendendo un bel sorso dal bicchiere d'acqua davanti a lui.

Afferrai quindi la chiave della porta della cucina e con non poche difficoltà feci scattare la serratura. Mi sbrigai a raggiungere il portone, e nel farlo passai davanti allo specchio in corridoio.
-Fortuna che è Samuele, sembro Maga Magò con questi capelli e questo brufolo in fronte.- sospirai tra me e me.

Arrivai alla porta e tirai giù la maniglia, aprendo così il portone.
Mentre guardavo il telefono, non mi resi conto di ciò che avevo davanti.
Infatti, una volta aperto, continuai a controllare il telefono, mentre leggevo il messaggio che mi era stato mandando dal conservatorio che mi indicava le ultime due lezioni che avrei dovuto fare la settimana successiva.

Sbuffai. Me le avevano messe i giorni delle lezioni ai bambini, e mi sarebbe toccato chiamare le mamme per avvisarle e spostarle.

Udii dei passi entrare in casa, che identificai subito come Samuele.
-La prossima volta devi portarti le maledettissime chiavi, oppure te le lego in qualche modo alle mutande, così vediamo se le scordi ancora.- gli dissi, alzando di poco la voce.

Forse proprio per il mio tono più alto della voce che non udii altri passi oltre a quelli di Samuele. Continuai infatti a camminare verso la cucina senza pensarci troppo, schivando Marcel e Pierre che si stavano dirigendo invece a passo svelto verso la porta.
Che Pierre avesse imparato finalmente a salutare Samuele al suo ritorno?

Samuele si lamentava sempre, perché diceva che al suo rientro Pierre non faceva altro che chiedergli di mettergli da mangiare, e ogni volta attaccava un pippone di due ore su quanto quel piccione spelacchiato fosse un ingrato, nonostante lui lo nutrisse e curasse continuamente.
Io glielo avevo sempre detto che Pierre era un egocentrico e un gran antipaticone, ma Samuele era duro come la roccia, e per capire le cose doveva necessariamente sbatterci la faccia da triglia che si ritrovava.

Nemmeno Marcel era solito correre incontro a Samuele. Certo, gli andava incontro scodinzolando quando tornava tardi la sera, ma mai di corsa, sempre a passo lento e un po' svogliato. Giustificai quell'improvviso attacco di energia con la presenza di Pierre, che seguiva in continuazione e imitava.

Mentre questi ragionamenti si muovevano nella mia testa, avevo notato il suono delle chiavi della macchina di Samuele poggiate sul mobile, e quello del portone che si richiudeva.

-Dybala! Rabiot!- strillò Pierre.
Mi bloccai. Perché Pierre aveva chiamato i due ragazzi?

Mi voltai di scatto. La prima cosa che notai fu proprio Samuele che afferrava il pennuto per una zampa, tirandolo a se mentre borbottava.
-Quando mai imparai a starti zitto?- lo sentii borbottare.
Poi, quando allungai di poco la mia visuale, per poco non svenni a terra.

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