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You could say you miss all that we had,
but I don't rally care how bad it hurts,
when you broke me first.
Tate McRae


Febbraio era finito da un pezzo, e insieme a lui anche la mia vita sociale. Anzi, quella di tutta l'Italia.

La mattina del quattro marzo ero uscita dal conservatorio, e passando davanti casa avevo trovato il supermercato stra pieno, e avevo preso giusto due cose al volo. Avevo trovato pochissime cose, e avevo dovuto prendere per disperazione un pacco di penne lisce, visto che la pasta a casa era finita e al supermercato erano rimaste solo quelle.

Poi ero passata in farmacia, e mentre prendevo la tachipirina e un normalissimo antidolorifico, una signora intorno ai cinquant'anni era entrata a bomba, chiedendo due pacchi di mascherine chirurgiche. Poi quando gli era stato risposto che erano terminate da almeno due ore, era andata ai matti.

E lì era iniziato un ciclone senza fine.

Quella sera stessa, in televisione, il nostro ormai caro Peppe aveva annunciato la chiusura delle scuole per i seguenti quindici giorni. Avevo sentito mio padre al telefono, e di sottofondo avevo sentito Nathan esultare allegro come un pazzo. Non sapeva che gli sarebbe mancato andare a scuola.

Poi avevano chiuso i conservatori, e lì avrei voluto tirare il pianoforte contro il televisore.

Poi qualche giorno dopo, Samuele aveva fatto arrivare a casa un pacco da cento mascherine chirurgiche prese su amazon con gli sconti, e il giorno dopo era stato annunciato il lockdown nazionale, sempre da colui che Samuele aveva iniziato a chiamare zio Peppe.

Io Riccardo e Samuele quindi ci eravamo trovati chiusi a casa nostra, mentre Luca era dall'altra parte del mondo insieme al suo ragazzo, con Marcel e Pierre. Ovviamente non eravamo andati a vedere la partita con Nathan, e per fortuna non avevo neanche visto Viviane e Lèo. Almeno a qualcosa la pandemia era servita.

A quel punto non ci eravamo chissà quanto agitati. Avevamo passato i primi tre giorni in quarantena facendo letteralmente schifo.

Ci alzavamo non prima delle undici al mattino, e dopo aver fatto colazione con qualcosa di molto calorico, tra cui pancakes, crepes e cose ripiene di nutella, davamo una sistemata generale alla casa.

Io mi ero specializzata nella preparazione delle crepes, e Riccardo aveva iniziato a sfoderare dei primi piatti interessanti. Dallo spezzatino alla pizza, perennemente in tuta, ci eravamo improvvisati chef e per pranzo avevamo messo in pratica le ricette più impossibili.
Il quarto giorno poi avevamo iniziato a realizzare quanto la situazione fosse effettivamente grave.
Era successo il dodici marzo, quando dopo aver scoperto la positività di Daniele, un giocatore della squadra, tutti i calciatori della Juventus erano finiti in quarantena. Avevo mandato un messaggio a Michela, la sua compagna, che avevo modo di incontrare qualche volta, che mi aveva fatto sapere di stare bene, nonostante la lontananza da Daniele e la preoccupazione per il bambino che aspettava.

Avevo sentito Adrien, che mi aveva detto che erano stati messi in quarantena per almeno quindici giorni tutti quanti, e che allo scadere di questi gli avrebbero fatto il tampone per verificare il loro stato di eventuale positività.
Nel frattempo avevo sentito un po' tutti, e avevo visto le foto che aveva pubblicato Paulo, che stava passando la quarantena a casa nuova con la sua fidanzata, a cucinare e a giocare alla play.
Avevo visto, tramite quelle poche foto che aveva postato, la stessa casa che mi aveva portato a vedere a novembre. Era stato strano realizzare come la stesse vivendo bene, mentre io facevo ancora fatica a guardare una partita senza chiudermi due ore nella mia stanza.
Avevo visto il giardino grande in cui ci eravamo scattati una foto quel giorno che eravamo stati lì la prima volta a vedere la casa, e mi era scesa una lacrima quando parlando con Annekee, avevo saputo che nel salone era stato posizionato un pianoforte a muro nero.

Million Reasons||P.D.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora