12.

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Siamo soli adesso noi
Sopra a un pianeta blu
E quando arriva sera
Invadi la mia sfera
Non è la primavera
Che non sento da un po'
Noemi

Samuele mi aveva fatto una strigliata secolare, una di quelle  che probabilmente mi sarei ricordata per tutta la vita.

Una di quelle che neanche mia madre quando avevo tagliato il grembiule di scuola in seconda elementare.
La differenza era che Samuele non era mia madre, e oltre a parlare in italiano invece che in francese, mi aveva sgridato su una questione del tutto diversa. A dirla tutta avrei preferito mille volte una delle strigliate in francese di mia madre, che quella di Samuele, ma dettagli.

Samuele mi aveva rincorso un paio di secondi, prima di bloccarmi davanti al portone. A quel punto aveva iniziato un discorso infinito.

In sintesi mi aveva detto che ero stata una stupida non rispondere a Paulo, e aveva ragione sotto sotto, ma non lo avrei mai ammesso.
Io e lui non eravamo niente di concreto in quel momento, e forse, prima di decidere di non rispondere, avrei dovuto ascoltare cosa aveva da dire, ma non mi ero mai trovata in una situazione del genere.

Anche perché, potevo aspettarmi di tutto riguardo quello che mi avrebbe dovuto dire e mi ero comportata come una fidanzata gelosa, quando quella gelosa doveva e poteva essere solo la ragazza mora, che di tutta questa storia non sapeva nulla. Di certo quella situazione non aveva aiutato per niente. Ero stata una stupida, non c'era altro da dire.

Ero scappata in conservatorio dopo, correndo come una pazza per prendere in tempo l'autobus che mi avrebbe portata alla metro, che infine avrei preso per arrivare in conservatorio. Era un viaggio, e ne ero consapevole, ed era anche pesante quando pioveva o faceva freddo, date le condizioni della metro in particolare. Quella mattina arrivai in conservatorio con un paio di minuti di ritardo rispetto al solito, ma feci appena in tempo per la lezione di storia della musica.

Quando uscii dall'aula di armonia, la testa mi scoppiava alla grande. Avevo passato tutta la mattinata alternando aule e lezioni e avevo pranzato insieme a due ragazze che avevo conosciuto all'inizio dell'anno accademico. Finalmente era arrivata l'ora della lezione di pianoforte, e non vedevo realmente l'ora. Avevo studiato quella settimana e mi sentivo incredibilmente preparata, cosa che non succedeva spesso. Andai direttamente nella sala grande. Era chiamata così perché appunto era enorme e alcuni concerti erano eseguiti lì. Proprio in quella sala avevo suonato tantissime volte in tutti i modi possibili. In quella sala avevo dato sfogo ai miei pensieri dopo la rottura con Lèo.  Era una delle mie preferite, soprattutto per l'acustica che in quella sala era una cosa mai vista, e suonare lì era sempre stato pazzesco.

Mi sistemai al piano in attesa della mia insegnate, e iniziai a strimpellare tutto quello che mi passava per la testa. Nell'ultimo periodo avevo letto e praticamente memorizzato la parte al piano di Sorry di Halsey, canzone che mi aveva sempre fatto un certo effetto, soprattutto per il testo. Avevo appena avuto in mente di provare a cantarla, quando la mia insegnante si era affacciata alla porta, e poi era entrata. 
-

Quando uscii dal conservatorio guardai l'ora sul telefono. Erano le quattro in punto, e per le cinque e mezza sarei stata a casa. Alle sei poi Paulo mi avrebbe chiamato, e io avrei risposto. Mi venivano i brividi solo all'idea. Era troppo che non sentivo la sua voce.

Samuele mi aveva detto cosa avrei dovuto fare secondo lui, e ancora una volta aveva ragione. Mi aveva detto, semplicemente, di essere me stessa e di essere sincera. Di dirgli cosa pensavo e di farlo anche in fretta, se volevo davvero portare avanti la faccenda.

La lezione era stata un fiasco totale. In realtà la mia insegnante era soddisfatta del mio lavoro, ma non lo ero io. Ero consapevole di poter fare di meglio, molto di meglio, ma non ero in grado di impegnarmi quanto avrei voluto.

Million Reasons||P.D.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora