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Salii in macchina e misi in moto. Ero in ritardo e odiavo che mi venisse rinfacciato che non arrivavo mai in orario, cosa vera, ma quella volta non era stata di certo colpa mia se ero dovuto passare in ospedale a riportare le chiavi a mia madre. Sentii la suoneria del cellulare che mi avvertiva che Kirishima aveva letto e risposto al messaggio. Non lo lessi, non ero un irresponsabile, sapevo che, se già superavo i limiti di velocità, come ovviamente stavo facendo, non potevo anche usare il cellulare. Una trasgressione alla volta era l'unico vincolo che mi imponevo quando ero alla guida ed era anche uno dei motivi per cui ancora non avevo avuto nessun incidente.

Arrivato da Kirishima, nemmeno salutai il resto del gruppo, mi diressi immediatamente alla bacinella con il ghiaccio dove erano state messe le birre in fresco, quella bacinella era come una visione ogni volta che mi recavo di malavoglia a uno di quei festini, sempre la stessa bacinella verde mela che la madre, la mattina dopo, doveva puntualmente recuperare da qualche parte in casa per usarla per fare il bucato. Una volta aveva addirittura mandato Kirishima a recuperarla su un albero in giardino perché qualche suo amico aveva pensato fosse divertente vedere quanto in alto riusciva a lanciarla. Gioco durato un lancio solo perché si era posizionato nel punto peggiore del prato, proprio sotto il melograno.

"La tua eccola" mi girai e vidi Kirishima porgermi una bottiglia già aperta. Ringraziai con un cenno della testa e poi mi permisi di guardarmi intorno. C'era addirittura più gente del solito, il rosso aveva un numero illimitato di amici, non come me che potevo contare quei pochi conoscenti, nemmeno amici, sulle dita di una mano.

Come se in quel momento mi fosse venuto in mente proprio questo particolare, cominciai a contarli alzando un dito alla volta. Arrivai a tre e poi fui fermato dalla voce squillante di Denki. Alzai il quarto dito, mi ero dimenticato del biondo dagli occhi ambrati. Quel paio di occhi mi sorrisero ancora prima della bocca, era energico come sempre e in più aveva già l'alcool in corpo. Denki e l'alcool erano una combo pericolosa.

"Bakugou, finalmente sei arrivato" urlò come se ci trovassimo in due case diverse e questo tono eccessivamente alto mi impedì di ignorarlo facendo finta di non averlo sentito. Sospirai, era una cosa che evidentemente facevo spesso, e provai ad accennare un saluto con la mano su cui un attimo prima stavo contando i pochi amici.

Neanche il tempo di trovare una scusa per allontanarmi, che il biondo già mi aveva circondato le spalle con un braccio e mi stava trascinando in mezzo alla folla. Avrei dovuto essere più veloce. Indicare il bagno lasciando intendere di aver bisogno di andarci, indicare la porta che dava sul giardino per avvertire che volevo prendere una boccata d'aria, indicare il televisore in salone informando il biondo di voler vedere la partita. C'erano tanti modi per sfuggirgli, ma nemmeno uno mi era venuto in mente in tempo per mettere in atto il piano di fuga.

"Dimmi un po', eri occupato con qualche ragazza?" mi chiese, continuando a scuotermi con quel braccio sulle mie spalle. Non mi piaceva e non mi piace tutt'ora venir toccato mentre qualcuno mi parla, insomma, è una violazione della privacy.

"Veramente ho avuto problemi con uno stronzo alla macchinetta del caffè" ammisi, scrollandomelo di dosso, scivolando via da sotto il suo braccio. Privacy, avrebbe dovuto capirlo in dieci anni di amicizia che con me doveva comportarsi in un certo modo. Kirishima non osava stringermi o baciarmi sulle guance, Kaminari invece sembrava non volerlo capire.

"C'è sempre qualche stronzo di mezzo quando si tratta di te, sicuro di non essere te stesso lo str..."

"Finisci la frase e ti faccio ingoiare quella bottiglia per intero" indicai la birra che stringeva con disinvoltura e gli mostrai i denti per fargli capire che non scherzavo e che il suo esofago era in grave pericolo.

"Come vuoi, ma secondo me dovresti essere più gentile con le persone" si strinse nelle spalle come faceva anche al liceo quando i professori gli consegnavano i compiti con le insufficienze. Non importa, diceva ogni volta, ma sapevo che mentiva, a casa lo aspettava una ramanzina della madre, una di quelle di cui poi poteva sentire l'eco fino al giorno successivo. Il padre di Denki, invece, non sapevo che fine avesse fatto, non ne parlava mai e quando usciva l'argomento diceva sempre che lui era nato solo da una donna, che dell'uomo che gli aveva passato i geni non voleva saperne nulla. Non compresi la situazione fino all'ultimo anno di liceo, quando Denki sparì per più di una settimana, aveva smesso di rispondere anche ai messaggi miei e di Kirishima. Ammetto che quella volta mi spaventai parecchio, era raro che mi preoccupassi in quel modo per qualcuno, ma era ancora più raro che Denki non intasasse la chat di gif ed emoticon. Gli permisi addirittura di abbracciarmi una volta tornato a scuola. Quando poi ci eravamo recati a casa sua, ad aprirci la porta non era stata come al solito la madre, ma un uomo dalle fattezze di un armadio, uno sconosciuto che aveva gli occhi dello stesso colore del nostro amico, ma con una luce diversa al loro interno, non calda come quella che caratterizzava lo sguardo di Kaminari. "Dove si trova Denki?" Avevo chiesto a denti stretti. Solo guardando quell'uomo avevo capito che la situazione non era delle migliori. Avevo anche compreso il motivo per cui Denki aveva smesso di rispondere alle chiamate e ai messaggi: non voleva che conoscessimo il così detto uomo che gli aveva passato i geni. Quella volta eravamo riusciti a riportarlo a scuola, ma i problemi a casa di Kaminari non erano sicuramente risolti, perché quell'uomo aveva deciso di rimanere nei paraggi.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora