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Sapete, non avevo mai compreso cosa significasse amare prima di scoprirmi innamorato di Shoto. E l'amore, che sia folle, che sia duraturo, improvviso, impetuoso, spontaneo o irrefrenabile è sempre individuabile nello sguardo di chi amiamo.

Il mio amore aveva due colori: grigio e azzurro. In pochi possono vantare queste sfumature del proprio amore. Molti trovano quel sentimento in uno sguardo monocromo. Io, invece, ero stato il più fortunato al mondo perché avevo due colori che insieme creavano un'infinità di sfumature.

Era ciò che pensavo quando mi ritrovavo a fissare Shoto negli occhi. Mi perdevo, mi dissolvevo e ritrovavo una forma fisica solo quando la sua voce mi richiamava alla realtà.

"Bakugou, lo stai facendo di nuovo"

Scossi la testa e lo guardai leggermente confuso.

"Cosa?"

"Mi guardi come se vedessi qualcosa al mio interno"

"Oh, ma io vedo decisamente qualcosa" sorrisi e gli sfiorai la guancia con i polpastrelli. Avevamo deciso di incontrarci in biblioteca per studiare ma, nel momento esatto in cui Shoto aveva aperto i libri, io mi ero incantato a guardare il suo viso concentrato. Mi ero perso e non sapevo nemmeno quanto tempo fosse passato.

"E potrei sapere cosa vedi di così interessante?"

"La tua anima"

Inarcò le sopracciglia e inclinò la testa di lato, facendo mischiare il rosso al bianco. Avrei voluto immergere la mano, quella con cui ancora gli sfioravo la guancia, nei capelli e dividere ciocca per ciocca in base al colore e al lato a cui apparteneva.

"La mia anima" ripeté, come se quella frase potesse trovare un significato migliore se adagiata sulla sua lingua. Avrei voluto trovare un altro passatempo per quella sua lingua, quella sua bocca che avrei voluto zittire con la mia. Ma, ovviamente, mettermi a baciarlo in biblioteca sarebbe stato poco produttivo per gli esami. Avrei anche scatenato la rabbia della bibliotecaria che, da quando ero entrato in biblioteca sbattendo i piedi nel periodo in cui io e Shoto avevamo litigato, non mi teneva più nelle sue grazie, anzi, credo avesse iniziato a detestarmi e penso, anche, che lo facesse di proposito ad aprire sempre la finestra vicino a dove sedevo di solito, la scusa era che essendo la più grande avrebbe fatto circolare meglio l'aria, la realtà era che sperava che mi ammalassi così da togliermi di mezzo almeno per una settimana. Ma io, conoscendomi, se mi fossi ammalato, mi sarei recato in biblioteca solo per il gusto di infastidirla e, perché no, anche passarle il raffreddore. Due piccioni con una fava.

"E sai perché proprio la tua anima?"

Lui scosse la testa in negazione e io allargai il sorriso.

"Perché è la rappresentazione del mio amore. Ha gli stessi colori e io mi ci immergo per risanare ogni minima ferita della mia, di anima"

Penserete che non fossi io a parlare, che ci fosse qualcun altro a passarmi le battute su un foglietto stropicciato di carta, ma ero proprio io e sembravo un poeta perché la sua presenza mi faceva diventare tale.

Rise piano, come se avesse trovato divertente ciò che avevo appena confessato e io mi sentii leggermente offeso.

"Adesso perché ridi?"

"Trovo divertente il fatto che cerchi nei miei occhi ciò che io cerco nei tuoi"

Fui io quello confuso a quel punto.

"Che cerchi di preciso?" chiesi per avere dei chiarimenti.

"La mia anima, credo tu me l'abbia rubata e che adesso quella danzi avvolta alla tua nel tuo cuore"

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora