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Quando tutti si calmarono, me compreso, devo ammettere che non mi era piaciuto affatto il modo in cui Monoma si era avvicinato a Shoto, entrammo nel pub e ci sedemmo a un tavolo in disparte. Su una cosa, almeno, eravamo tutti d'accordo, non volevamo attirare l'attenzione di nessuno, quindi la posizione migliore in quel bar era sicuramente il tavolo in fondo, leggermente nascosto da una colonna.

Shoto mi sedeva accanto e ogni tanto, come se avesse bisogno di una conferma che fossi ancora lì, mi posava la mano sul ginocchio e poi la risollevava. Sembrava volersi accertare che fossi reale e non una visione. Provai un paio di volte ad afferrargli la mano, avrei intrecciato volentieri le mie dita alle sue, ma mi sfiorava per dei decimi di secondo e io non riuscivo ad essere abbastanza rapido da poterlo fermare e trattenere vicino.

Il fatto che dovesse affrontare un membro della banda che si era lasciato alle spalle di certo non rendeva quella situazione, già complicata di per sé, meno problematica. Mi domandai se lo stesso Dio, che apriva il file intitolato Bakugou Katsuki per divertirsi, non facesse lo stesso anche con i capitoli della vita di Shoto.

Ordinai una birra scura e quando arrivò ne approfittai per nascondere il mio viso dietro il boccale. Non avevo idea di che espressione stessi mostrando in quel momento, ero sia incazzato perché di tanta gente Shinso era riuscito a trovare proprio un ex membro della banda dei fuoricampo, sia indeciso su come avrei dovuto reagire se quel ragazzo avesse dovuto tirar fuori di nuovo l'argomento Enji Todoroki. In più non mi era passato di mente l'episodio a cui aveva accennato il biondo, un episodio che aveva visto Shoto in una pozza di sangue. Come potevo dimenticare? Ma, soprattutto, come avrei potuto chiedere spiegazioni senza riaprire vecchie ferite in Shoto?

Scrutai, da dietro il vetro spesso del mio boccale, il volto di Shinso e cercai di decifrarne l'espressione. Non avevo idea di cosa pensasse in quel momento e avrei voluto tanto avere il vecchio quaderno che, ai tempi del liceo, io e il viola utilizzavamo per comunicare durante le lezioni. Passavamo le ore a scriverci messaggi idioti, per far passare il tempo più in fretta possibile, e quel quaderno, che non aveva altro scopo oltre quello da fungere da chat tra me e Shinso, era ancora in mio possesso, nascosto tra i libri universitari e i fascicoli con gli appunti stampati. Se avessi avuto sottomano quel quaderno, probabilmente, gli avrei domandato cosa pensava di ciò che aveva appena scoperto riguardo il suo nuovo ragazzo e, facendo il possibile per non essere notato dai nostri accompagnatori, gli avrei passato quel quaderno sotto il tavolo insieme alla penna per rispondere.

Mandai giù un sorso di birra e cercai di concentrarmi sul sapore leggermente amaro che mi rivestiva la bocca e la gola. La sentivo scendere con la sua fluidità e prendersi spazio nel mio stomaco, speravo che presto iniziasse a stordirmi come solo l'alcool a stomaco a vuoto riesce a fare. Avevo intenzione di attutire la sensazione di inadeguatezza che provavo nello stare seduto con quel gruppo di ragazzi e volevo anche attenuare la rabbia che, inevitabilmente, si era impossessata di me nell'udire il biondo nominare il padre di Shoto.

"Siete stati da qualche parte quest'estate?" il viola sorseggiò la sua birra e spostò ripetutamente lo sguardo da me al bicolore e viceversa. Feci attenzione a non strozzarmi con la birra per lo stupore nel vedere come, per la prima volta, fosse Shinso che cercava di iniziare una qualche conversazione per interrompere quel silenzio imbarazzante che aleggiava sul nostro tavolo. Sapevo che non aveva del tutto superato la rottura, né tantomeno il fatto che Shoto fosse corso da me appena ottenuta una sorta di libertà. Potevo comprendere ciò che provava, solo l'idea che, dopo di me, ci sarebbe potuto essere qualcun altro mi irritava tanto da iniziare a considerare Shoto come un traditore, anche se, ovviamente, ancora non aveva fatto nulla per avere addosso un'etichetta del genere.

Raccontammo le nostre estati, tutti e quattro eravamo rimasti a casa, nessuno era partito, chi per un motivo e chi per un altro. Io e Shoto non avevamo programmato alcun viaggio per due motivi: uno, stavamo insieme da troppo poco tempo per partire per un viaggio solo noi; due, lui doveva recarsi in ospedale per le visite di controllo, ma questo non lo dicemmo.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora