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Il primo mese passò in fretta e presto diedi vita alla mia routine. La mattina io e Denki ci alzavamo più o meno allo stesso orario e facevamo la fila al bagno, di tanto in tanto andavo ai bagni del piano sottostante perché erano meno incasinati e così incontravo anche Kirishima. A pranzo avevamo preso l'abitudine di mangiare sulle panchine o seduti sul prato, così che potessimo anche dormicchiare sotto il sole durante la pausa prima delle lezioni pomeridiane. La sera, dopo cena, ci rilassavamo nella sala comune del dormitorio. Certe volte guardavamo un film insieme agli altri studenti, altre volte facevamo una partita a biliardo oppure semplicemente chiacchieravamo. Non mi sembrava vero ma la vita al campus era decisamente elettrizzante, soprattutto perché Shoto si vedeva molto di rado.

Mi ero addirittura abituato a quel rumoroso di Denki. Ormai non mi addormentavo più se non sentivo i suoi deliranti farfugliamenti notturni. Avevo scoperto quanto fosse genuino come ragazzo, puro. Quando capitava, al bagno lasciava passare avanti il ragazzo con le stampelle che si era rotto la gamba giocando a calcio. Se alla mensa rimaneva solo una fetta di torta, la lasciava per me. Quando io iniziavo le lezioni un'ora più tardi di lui, evitava di impostare la suoneria della sveglia troppo alta così che non mi svegliassi all'alba e mi portava la colazione in stanza perché, a detta sua, tanto era già in piedi da parecchio tempo.

Quella sera, dopo la cena, aveva detto che sarebbe andato a ripassare per l'esame in stanza di un amico in un altro dormitorio, così ci ritrovammo io, Kirishima e Shoto da soli nella sala comune. Esatto, era una delle sere in cui Shoto era uscito dalla sua camera al secondo piano e aveva deciso di unirsi a noi. Sentii molto la mancanza del mio compagno di stanza in quell'occasione. Non parlai molto, rimasi per lo più in silenzio a lanciare occhiate minacciose in direzione del bicolore. Aveva un modo di parlare che mi urtava, gesticolava, muoveva spesso le dita come se oltre alla voce dovesse usare necessariamente anche una sorta di linguaggio dei segni. Ogni tanto arricciava il naso, soprattutto quando entrava qualcuno nella sala comune di cui non gradiva la presenza, lo avevo capito perché, dopo aver arricciato il naso, si girava verso Kirishima e gli diceva di tenersi alla larga dal ragazzo appena entrato perché era un tipo poco raccomandabile. Mi chiesi se anche quando vedeva me arricciava il naso in quel modo fastidioso. Forse per quel motivo, perché non sopportavo la sua voce, anche se ora mi rendo conto che aveva parlato relativamente poco, mi sembrò di stare lì per ore, mentre in realtà ne passarono solo un paio.

Intorno all'una di notte me ne andai in stanza, ero stanco e non ero nemmeno in vena di discutere con il bicolore, come ero solito fare quando passava le serate con noi. L'università mi stava risucchiando tutte le energie e l'unica cosa a cui pensavo durante il giorno era il letto nel quale mi sarei buttato dopo chissà quante ore.

Alle cinque di mattina mi svegliai infastidito, sentivo l'aria fresca della notte colpirmi la fronte, segno che Denki si era dimenticato di chiudere la finestra una volta tornato in stanza, era una regola semplice che avevamo imposto a inizio convivenza: l'ultimo che si recava a letto doveva chiudere a chiave la stanza e la finestra. Così mi alzai malvolentieri, strusciando i piedi nella speranza di fare rumore e svegliare il biondo, e mi avvicinai alla scrivania. Fu in quel momento che mi resi conto che Denki non era affatto tornato in stanza.

Mi allarmai subito, lui non faceva mai così tanto tardi, soprattutto non per lo studio. Afferrai al volo il cellulare e controllai se per caso mi aveva lasciato qualche messaggio, ma non c'erano sue notizie su nessuno dei social che era solito usare per comunicare con me. Era assurdo come evitasse di usare i classici sms che si usavano prima della creazione degli smartphone. Lo chiamai più volte, non davo nemmeno il tempo al cellulare di cambiare schermata che già avevo premuto di nuovo sul contatto del biondo per far ripartire gli squilli infiniti. Mentre il cellulare squillava a vuoto con il vivavoce attivato, mi vestii e uscii dalla camera. Corsi lungo il corridoio, scesi le scale due gradini alla volta e raggiunsi la porta della stanza di Kirishima, tutto sempre con il cellulare con la chiamata in corso. Bussai con forza, quasi con rabbia perché mi sembrava assurdo che quella porta, che durante il giorno era sempre aperta, nel momento del bisogno si trovasse serrata davanti a me. Dopo poco, una manciata di secondi in cui io smisi di respirare inconsapevolmente perché era partita l'ennesima segreteria telefonica, si affacciò Shoto. Aveva lo sguardo assonnato, due occhiaie fin troppo evidenti a sfiorare gli zigomi e le labbra secche. Lo scansai con la mano e mi diressi con lunghi passi dal rosso che si stava mettendo seduto sul letto, tutto il chiasso che avevo fatto aveva destato entrambi.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora