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Shoto era sempre una nuova scoperta per me.

Quando mi invitava a mangiare fuori, era solito scrivere sullo scontrino che tempo ci fosse quel giorno: sole caldo, pioggerellina, nuvoloso con spicchi di luce qua e là. Non sapevo come mai avesse questo vizio, ma poi lo vedevo piegare quel pezzetto di carta termica e infilarlo nel portafogli. Non li teneva stipati lì gli scontrini, una volta arrivato a casa o al dormitorio, li nascondeva in una scatola di cartone, di quelle dove vengono impacchettati gli acquisti online, e la riponeva in fondo all'armadio. Quella scatola, ancora non lo sapevo, ma sarebbe diventata lo scrigno della nostra relazione, mi sarei ritrovato, anni dopo, da solo nella mia camera da letto ad aprirla e a far scorrere tra le dita tutti quei ricordi che mi facevano inumidire gli occhi. Dopo diverso tempo, avrei compreso il motivo per cui Shoto era solito conservare piccoli oggetti che gli ricordassero le giornate passate insieme.

Quando facevamo una passeggiata al parco, si portava sempre una fetta di pane che poi sbriciolava lungo i bordi dei sentieri per gli uccellini che svolazzavano da quelle parti. Spesso mi era capitato di dovergli spolverare la cover del cellulare piena di molliche perché non si accorgeva di averle ancora attaccate al palmo.

Le volte che vedevamo un film sdraiati sul divano a casa sua, si faceva spazio tra le mie gambe per sdraiarsi con la schiena contro il mio petto e intrecciava le dita alle mie per poi renderci impossibile alzare o abbassare il volume. Però, durante il film, avevo la possibilità di respirare il suo profumo, premevo il naso tra i suoi capelli, esattamente nel mezzo, dove il bianco lasciava il posto al rosso scuro, e inspiravo finché non sentivo i polmoni completamente pieni della sua fragranza. Erano piccole abitudini a cui, però, scoprii non poter fare a meno. Mi resi conto di non riuscire più a fare una passeggiata senza osservare il suo volto sereno mentre gli uccellini gli svolazzavano intorno alle caviglie. Mi ritrovai a studiare ogni scontrino che mi passava di mano chiedendomi se potesse tornarmi utile in qualche modo. La sua presenza, mi aveva influenzato tanto da portarmi a non voler più vedere un film da solo, mi sentivo freddo, mi sembrava quasi inutile guardare qualcosa in televisione senza qualcuno al mio fianco.

Stavamo guardando proprio un film che avevo scelto io, lui non esponeva mai una propria preferenza, ero concentrato più sul respiro di Shoto piuttosto che la trama di ciò che stavamo guardando, quando in salone irruppe Enji Todoroki. Shoto aveva sempre fatto il possibile per evitare che ci incontrassimo io e suo padre, me ne ero accorto, aveva addirittura un calendario sul cellulare con segnati gli orari lavorativi di quell'energumeno, ma qualcosa era andato storto nei suoi piani e così ci ritrovammo Enji, in piedi davanti al divano, a fissarci in cagnesco. L'aura di quell'uomo era opprimente, sentivo i miei organi schiacciarsi come se fossero sottoposti a una forza di gravità maggiore di quella della terra. Istintivamente pensai a un Shoto bambino che doveva avere a che fare con quella pressione, mi chiesi come fosse riuscito a sopravvivere senza impazzire completamente, senza sviluppare una paura innata nei confronti delle persone adulte. Era cresciuto, era lì tra le mie braccia, era una delle persone che mi aveva fatto provare i sentimenti più contrastanti in assoluto, si era fatto strada da solo, nessuno lo aveva aiutato. Ero fiero di lui, ma avrei preferito non avesse dovuto sopportare tutto questo dolore nella propria crescita.

In quel momento, comunque, mi trovavo di fronte al peggior nemico del mio ragazzo e il mio corpo reagì d'istinto.

Strinsi i pugni, era evidente non avessi perdonato quell'uomo per ciò che aveva fatto al mio ragazzo. Farlo crescere a suon di pugni e acqua bollente, fargli credere di non meritare di essere felice, addirittura convincerlo di non esser degno di vivere, questa forse era l'influenza peggiore che aveva avuto su Shoto. Lo aveva fatto soffrire in modi che mai avrei potuto concepire e, ora che Shoto era il mio ragazzo, era compito mio reggere quello sguardo azzurro di suo padre, non dovevo mai lasciare che si trovasse da solo a doverlo affrontare. Era stato solo per troppo tempo, dopo che il fratello maggiore era scomparso, solo contro un uomo il doppio di lui.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora