-56-

299 45 35
                                    

Shoto entrò in coma quel pomeriggio e io persi interesse nella vita quello stesso giorno. Vi starete chiedendo come si possa perdere interesse nella propria vita, ma vi assicuro che è possibile.

Cominciai a guardare apaticamente qualsiasi cosa mi circondasse, respiravo lentamente e il cuore sembrava voler rallentare insieme a quello di Shoto. Io avrei lasciato fare al cuore quello che voleva, se avesse voluto fermarsi, io avrei lasciato che si fermasse. Sarei morto e sapete cosa? Non me ne sarei pentito, perché in quel momento avevo perso ogni ragione per cui dovessi rimanere in vita. Stavo perdendo lui. E pensare che un anno prima quel ragazzo non era stato altro che lo stronzo della macchinetta, come era potuto finire col diventare la ragione della mia vita?

Ero arrivato al punto da vivere come se fossi un insignificante spettatore della mia stessa esistenza. Mi guardavo dall'esterno e pensavo a quanto potessi sembrare patetico in quello stato, ma non mi importava, potevo sembrare una persona senza speranza, l'unico motivo per cui non avessi ancora buttato via la mia vita, lasciando che il mio corpo si consumasse del tutto, era quel bip continuo che mi assicurava che il cuore di Shoto stesse continuando a muoversi. Io esistevo solo come riverbero di quel suono proveniente da un macchinario. Se non fosse stato necessario, non avrei nemmeno più aperto bocca, ma la gente insisteva per ricevere banali risposte da parte mia, mentre io avrei voluto solo lasciar macerare la mia voce sul fondo della gola finché quella non fosse stata rivolta a Shoto.

Mi recavo in ospedale ogni giorno e ogni giorno mi scambiavo occhiate tristi con i medici. Non c'è nulla di meno rassicurante di un dottore che ti guarda in quel modo malinconico, come a voler farmi capire che avrei potuto continuare a fare visita a Shoto, ma che nulla sarebbe mai cambiato. Shoto si sarebbe mai svegliato? Avrebbe ripreso coscienza? Mi avrebbe di nuovo guardato, abbracciato o baciato? Avrebbe ricominciato ad amarmi e a darmi una ragione di vita?

Prima lui era ossigeno, aria pura che mi teneva in vita, sempre pieno di adrenalina, come un funambolo in bilico tra l'emozione più stravolgente al mondo e il vuoto totale. Lui con una parola aveva la capacità di spingermi in quell'emozione o di farmi cadere nel vuoto. Ora era diventato un bip, un comunissimo bip di cui se ne potevano sentire a decine in quell'ospedale, eppure, nonostante passando per il corridoio di quell'edificio riuscissi a percepirne diversi, quello che rappresentava il battito di Shoto per me aveva un suono completamente diverso.

Arrivai in ospedale, di nuovo con la mia camminata lenta, trascinavo i piedi lungo i corridoi e cercavo di incrociare meno sguardi possibili, non mi serviva che qualcun altro mi facesse capire che le speranze per cui si svegliasse il bicolore fossero scarse. Lo avevo capito subito, non appena il mio cuore aveva cominciato a rallentare il proprio ritmo.

I nostri cuori comunicavano.

Arrivai al corridoio dove si affacciava la stanza del mio ragazzo, la parete sulla destra aveva attaccato un pezzo di scotch di carta, rimasto presumibilmente dopo che era stato tolto un vecchio poster pubblicitario, una striscia blu vicino al pavimento, probabilmente qualche sedia a rotelle colorata ci si era poggiata, una macchia giallognola che non avevo ben identificato e, sul soffitto, una plafoniera fulminata che nessuno aveva ancora cambiato. Conoscevo i minimi particolari di quel corridoio e ancora oggi li ricordo come fossero l'ambientazione di un film horror nel quale mi sono rispecchiato fin troppo bene.

Prima che potessi varcare la porta che mi avrebbe condotto a quel bip, però, fui fermato da Touya che, molto probabilmente, si era recato anche lui lì per far visita al fratello. Ero riuscito a contattarlo solo diverse ore dopo che era avvenuto l'incidente e, quando aveva smesso di emettere qualsiasi suono, nemmeno più il respiro riuscivo a percepire al telefono, gli avevo chiesto di non perdere la testa, che bastavo io come ragazzo irrazionale, che lui avrebbe dovuto mantenere la calma e la lucidità per parlare con i medici e per prendere qualsiasi decisione riguardante la futura denuncia del padre. Quando poi era venuto in ospedale, accompagnato da un Natsuo particolarmente frastornato, aveva ritirato tutta la documentazione in cui erano descritte le contusioni con cui era arrivato in ospedale Shoto e aveva chiamato un avvocato per chiedere cosa ci dovesse fare. Non mi aveva rivolto la parola, nemmeno guardato, come se in quel momento non fossi esistito, probabilmente non aveva fatto caso a me perché ero rimasto seduto a terra, con la schiena poggiata contro la parete, cercando di diventare il più possibile simile alla tappezzeria dell'ospedale. Solo Natsuo mi aveva lanciato un cenno di riconoscimento, ma nulla di più.

L'imperfezione della necessitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora